Paola De Carolis per il "Corriere della Sera"
«Neil Young Frank Zappa, Bob Marley, Van Morrison, Bruce Springsteen, Lou Reed, Patti Smith e stasera, signore e signori, da Londra, Inghilterra, i Dire Straits». Il libro si apre con il ricordo di una festa a Los Angeles nel marzo 1979, alla vigilia del debutto al Roxy: quattro ragazzi di provincia increduli di essere arrivati al tempio della musica nonostante le tribulazioni di una gavetta infinita.
Quel nome, diventato il marchio di un gruppo che ha venduto oltre 100 milioni di dischi e che ha conquistato il pubblico di tutto il mondo, venne scelto da un coinquilino che con una battuta volle prenderli in giro per le interminabili ristrettezze economiche. È nato e cresciuto con la pandemia il volume di memorie di John Illsley ( La mia vita nei Dire Straits , EPC Editore) che rappresenta la prima biografia della band.
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Con l'energia di chi non ha mai perso la passione, il bassista ha raccontato in un incontro organizzato dalla Foreign Press Association a Londra le tappe di un'«esperienza straordinaria». La canzone più difficile? Telegraph Road . Il segreto di testi e melodie che, da Romeo and Juliet a Brothers in Arms , rimangono attuali? «il lavoro di gruppo, con i nostri strumenti, seduti uno vicino all'altro. È così che nasce la magia». Una riunione? «La escludo anche se suonare davanti al pubblico è come una droga e smettere è molto difficile».
L'introduzione è di Mark Knopfler, chitarrista considerato tra i migliori in assoluto e l'unico del quale Illsley sia ancora amico. «Erano altri tempi - scrive -. Prima della pirateria, prima dei download. Grazie al cielo non eravamo adolescenti o non ce l'avremmo fatta: non è una vita che fa per tutti». Il successo si paga sulla pelle: per Knopfler il prezzo è stato il difficile rapporto con il fratello David, che alla fine portò allo scioglimento della band. Per Illsley le prolungate assenze da casa, lontano da mogli e figli: «Siamo rimasti in buoni rapporti, ma dico sempre che gli unici santi che conosco sono morti».
Oltre al gruppo, a colleghi come Sting, Queen, Bob Geldof, Duran Duran e tutta la folta schiera musicale dell'epoca, protagonista del libro è anche la Gran Bretagna di altri tempi: un Paese che alla fine degli anni 50 era ancora conservatore, chiuso e prevalentemente bianco, dove l'improvvisa comparsa di un uomo indiano nella cittadina di Market Harborough («il middle point della Middle England») e il curry cucinato inaspettatamente dalla madre una sera rimangono impressi nella memoria di Illsley bambino come segni di una nuova era.
Figlio di un funzionario di banca e di una casalinga, quarto e ultimo pargolo di una famiglia precisa e ordinata dove nessuno si abbraccia o si bacia ma tutti sanno di volersi bene, Illsley ascolta Radio Luxemburg di notte. Attraverso i testi e i ritmi di Elvis Presley capisce di volere una vita diversa. «La musica - annota nel libro - rappresentava la salvezza emotiva. Ha riempito il vuoto di una generazione che non sapeva esprimere ciò che provava».
Tra eccessi, litigi, momenti storici (come il Live Aid) e nostalgia del passato, l'obiettivo per Illsley è raccontare «la gioia della musica, la sua universalità: non importa da dove vieni o quanti anni hai, la musica unisce». Gli brillano gli occhi quando racconta che tuttora se vede la sua chitarra non riesce a non suonare o che riceve email da adolescenti cinesi che gli confidano: «Ho scoperto i Dire Straits». C'è un messaggio? «Vorrei dire questo: tutto può succedere se ti metti nella posizione di ottenere ciò che vuoi. La vita, alla fine, è una serie di coincidenze».
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