Francesco Troncarelli per www.globalist.it
Roma era tutta candida
Tutta pulita e lucida
Tu mi dici di sì l'hai più vista così
Che tempi quelli"
Roma si è svegliata imbiancata, come in quel febbraio del 1956 che paralizzò la città e fece impazzire di gioia i bambini, calandola in una dimensione irreale. Una nevicata storica documentata in bianco e nero dalle foto e dai filmati d’epoca ma raccontata a colori in una canzone entrata nella storia della musica.
Un pezzo particolare, struggente e nostalgico, dalla melodia coinvolgente e trascinante, che descrive momenti di vita vissuta e di riflesso la Citta Eterna sotto la neve, meravigliosa come è apparsa oggi.
Una poesia con versi di rara bellezza e un affresco di Roma, evocativo di un evento indimenticabile che la canzone ha contribuito a fissare per sempre nell’immaginario collettivo nella consapevolezza che una nevicata con i suoi fiocchi incantevoli, non sarà mai uguale a nessun’altra.
Un brano che ha avuto un grande successo e divenuto un classico, che ha una storia particolare che lo rende ancora di più unico e speciale.
“La nevicata del ‘56” venne scritta nel 1975 da Luigi Lopez e Carla Vistarini, due autori tra i più prolifici ed apprezzati di quegli anni (“La voglia di sognare” per Ornella Vanoni, una delle loro gemme) con la collaborazione di Fabio Massismo Cantini.
Fu Gabriella Ferri ad ascoltare per prima questa canzone al “Cenacolo”, il piccolo ateneo musicale voluto dalla Rca per incentivare gli incontri e gli scambi di idee fra gli emergenti della cosiddetta ‘Scuola Romana’, durante una sorta di provino eseguito da Lopez con la sua chitarra e alla presenza di tutti i dirigenti della casa discografica di via Tiburtin, con in testa Ennio Melis e il produttore della Ferri Piero PIntucci.
L’esecuzione si svolse nel silenzio, e alla fine tutti si alzarono in piedi entusiasti, la Ferri abbracciò commossa Lopez. Quella era la canzone perfetta per proseguire la scia dei suoi successi legati al suo amore smisurato per Roma. Un successo annunciato.
Di fatto, nonostante quell’accoglienza festosa e le attese degli autori, per uno dei tanti misteri che accompagnano la storia del nostro pop, non se ne fece più niente e “La nevicata del ‘56” rimase nel cassetto per più di quindici anni, fino ai giorni del ‘90 che precedettero la partecipazione a Sanremo di Mia Martini.
Dopo il suo rientro clamoroso al festival nel 1989 con “Almeno tu nell’universo”, la cantante era alla ricerca di una storia d’amore per bissare il successo dell’anno precedente ma optò per quel quadro poetico realizzato da Carla Vistarini che le apparse subito meraviglioso.
E’ a quel punto che Franco Califano fa il suo ingresso nella storia di questa canzone. Da un lato, perché il suo produttore Gianni Sanjust, aveva voluto provarla con lui, altro artista fortemente legato a Roma, che ne riadattò il testo per una sua versione cantautorale al maschile che però non venne incisa subito ma successivamente. Da un altro perché lo stesso Sanjust decise poi insieme ai suoi autori di proporla a Mia Martini, che ne fu entusiasta e volle però che proprio il Califfo risisistemasse la versione originale, per “cucirla” su di lei con qualche pennellata delle sue.
“La nevicata del 56 è un affresco sulla mia infanzia. Oggi la vedo alla luce di tante discese e salite e questa proiezione sul mio passato mi fa risaltare soltanto le cose belle, la figura di mio padre nella mia casa, che non mi ha mai portato allo stadio; era un uomo di cultura e fervente politico, ma mi faceva vedere il mondo dalle sue spalle. Questo brano me lo hanno fatto ascoltare due degli autori e mi è piaciuto subito. Ho fatto apportare qualche variazione nel testo da Franco, perché la storia parlava di una ragazza che allora aveva circa venti anni, mentre io all'epoca avevo appena otto anni”, con queste parole Mimì spiegò dopo l’innamoramento per il brano e la sua genesi con le variazioni apportate alla versione originale.
Venne così Sanremo, organizzato da Adriano Aragozzini e presentato da Johnny Dorelli e Gabriella Carlucci, sorella di Milly e non ancora impegnata in politica. L’interpretazione del brano data da Mia Martini sul palco del Palafiori (quell’edizione presentata non si volse all’Ariston), risultò elegante, raffinata, intensa, in grado di accentuare un clima nostalgico e venato di malinconia che da più vigore alla canzone, a tal punto da regalare dei brividi persino a Ray Charles, presente in quella edizione come artista straniero ad affiancare Toto Cutugno, che poi si complimentò con lei.
Mimì con la sua voce potente e roca capace di salire e incantare la platea e di trasformare la quiete in rabbia, regala un’interpretazione da brividi, emozionante, che ti scuote l’anima, da grande artista, forse troppo elitaria per il grande pubblico delle giurie che si concentra sui Pooh, i grandi favoriti che vinceranno con “Uomini soli”, e “Gli amori” di Cotugno e il “du du du, da da da” del “Vattene amore” di Minghi e Mietta, che arriveranno rispettivamente secondo e terzi.
“La nevicata del ‘56” riceverà comunque l'applauso degli addetti ai lavori aggiudicandosi il Premio della Critica, che dal 1996, dopo la prematura scomparsa della Martini, porta il suo nome.
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