Raffaella Silipo per la Stampa
«Se sei un essere umano del 2017 e non sei ansioso, c' è qualcosa che non va in te». No, non è un' opinione, ma sedicimila: tanti sono stati i retweet allo sfogo della social media editor newyorchese, Sarah Fader. Tutti accomunati dall' ansia, la sindrome del nostro tempo. Alimentata in modo esponenziale dalla tecnologia della comunicazione. Moltiplicata dall' effetto dei social network, da Facebook a Instagram e Twitter, con i loro continui, implacabili aggiornamenti.
Sanzionata dalle micidiali spunte blu nei messaggi su WhatsApp: ha visto il messaggio ma non risponde. Sono passati già dieci minuti. Forse non è più mio amico? Benvenuti nell' era dell' ansia: se la fine secolo - e millennio - è stata senz' altro l' era della depressione e del Prozac, nel nuovo millennio lo «spleen» è stato sostituito dall' energia nervosa in moto perpetuo: menti febbrili come criceti nella ruota, senza un attimo di riposo dall' interazione sociale, dita frenetiche sugli smartphone o intente a rigirare i fidget spinner, i giochini dell' anno, nati - ironia della sorte - proprio per tenere a bada l' agitazione e diventati subito una forma di dipendenza compulsiva.
La generazione Che sia colpa del terrorismo globale iniziato con l' attentato alle Twin Towers del 2001, o della crisi economica che dal 2008 affligge il mondo occidentale è oggetto di dibattito fra sociologi, certo il clima psicologico è cambiato. Basta guardare i dati del National Institute of Mental Health americano: il 38 % delle teenager e il 26% dei ragazzi ha un disordine di ansia, in netta crescita rispetto a dieci anni fa. Mentre la depressione è stabile. «Non ricordo un momento della mia vita in cui non sono stata ansiosa» dice Lena Dunham, geniale autrice di Girls , classe 1986, diventata una sorta di portabandiera della sua generazione. I Millennial sono ansiosi perché si sentono condannati all' irrilevanza sociale.
«Si è rotta la catena del passaggio dall' età giovanile all' età adulta - scrive Enrica Amaturo, presidente dell' Associazione italiana di Sociologia - uscire di casa, trovare un lavoro, costruire un nucleo familiare. Abbiamo condannato i giovani a un' adolescenza protratta, come se non avessero capacità di incidere sulla realtà e sulla loro vita e in cambio gli abbiamo dato un bel kinderheim che è il mondo del web, dove possono fare ciò che vogliono. Il mondo virtuale però diventa reale solo per i migliori, quelli che riescono a sfruttarne le possibilità. In realtà, giovani o vecchi, ansiosi siamo un po' tutti.
«L' ansia - spiegano Marco Pacifico e Giada Fiume nel libro Una bussola per l' ansia appena uscito - è un meccanismo di difesa di fronte a un pericolo». Quest' emozione è una reazione normale a molti stress della vita e anche utile a evitare guai. La situazione cambia se l' ansia non corrisponde a nessun pericolo reale. «Allora invece di essere un elemento di crescita e maturazione, diventa causa di disgregazione della personalità». Gli aspetti positivi È però anche vero che l' ansia è più funzionale della depressione. Più utile socialmente.
Fatti salvi naturalmente i casi gravi e invalidanti, un pizzico di ansia ha degli aspetti positivi. «L' ansia tende ad essere associata a un temperamento onesto, attento al dettaglio - dice Tracy Foose, professoressa di psichiatri all' Università di San Francisco - l' ansioso non si ferma mai, ha una continua ricerca dell' eccellenza e attenzione ai desideri degli altri». Insomma, l' ansia fa soffrire, ma può anche aiutare a raggiungere il successo. Pensate all' ansia di André Agassi bambino di fronte al «drago» lanciapalle che suo padre lo obbligava ad affrontare ogni giorno con la racchetta, per colpire, con la massima precisione possibile, migliaia di palline. Una vera tortura psicologica. «Però ha vinto Wimbledon» è la difesa, rozza ma inconfutabile, del padre.
La filosofia Senza dimenticare che i mali dell' animo hanno anche un significato culturale importante, alimentano la nostra creatività. «L' ansia, secondo il filosofo danese Soren Kierkegaard, è una sorta di costo di ingresso da pagare: senza di lei non esisterebbero creatività e immaginazione - sostiene Simon Wolfe Taylor nel libro The Conquest of Dread: Anxiety From Kierkegaard to Xanax (La conquista della paura: l' ansia da Kierkegaard allo Xanax) -. Non sto cercando di buttare a mare la psichiatria, ci mancherebbe, ma di ricordare che filosofia e letteratura, da due millenni a questa parte, hanno sempre cercato di farci vedere le potenzialità dell' ansia».
Wolfe Taylor ricorda come prima della nascita di psicanalisi e psichiatria, l' ansia veniva combattuta leggendo i classici della letteratura, da Omero in giù. «Oggi invece nessuno pensa di tranquillizzarsi con due pagine di Pascal o Montesquieu». Eppure la filosofia sarebbe un buon ansiolitico: almeno lo è stata per il professore di filosofia Gordon Marino, arrivato a Kierkegaard quasi per caso, mentre cercava di recuperare da un doloroso divorzio. «Oggi crediamo alla chimica per guarire i mali dell' anima, ma c' è stato un momento in cui si pensava che un' idea o un' interpretazione potessero curare».
Questo è tanto più vero quando i mali dell' anima non affliggono solo il singolo ma un' intera società. Già durante la Guerra Fredda, intellettuali come Arthur Schlesinger Jr. teorizzavano che l' ansia fosse una condizione inevitabile di una società democratica, legata a doppio filo alla libertà. «È la tesi di Kierkegaard - conclude Wolfe Taylor - l' ansia deriva dalla troppa libertà di decisione e dal conseguente aumento di responsabilità personale». L' alternativa è francamente peggio.