Roger Moore per “Daily Mail”
Estratto dal memoir ‘My Word Is My Bond’, pubblicato da Michael O’Mara il 3 giugno 2017
Qualche anno fa decisi di rinnovare il passaporto, in previsione del mio viaggio dalla Svizzera, dove vivo, a Londra. Compilai la richiesta con i miei dati, stampai un paio di foto, e tornai a ritirare il documento dopo pranzo. Che stupido a pensare fosse una cosa facile.
Il primo problema fu che la mia firma non era perfettamente nel riquadro, e fui costretto a ricompilare tutto. Il secondo che le mie foto erano state stampate su carta svizzera, non su quella britannica approvata. Il terzo problema fu il mio nome: «Scusi» disse l’uomo alla scrivania «ma questi documenti sono per due persone diverse. Lei sul corrente documento è Roger Moore, ma ora mi dice di essere Sir Roger Moore».
Spiegai che nel frattempo ero stato nominato ‘Sir’ e lui mi chiese una prova. Gli risposi tra i denti: «Vuole una lettera dalla Regina?». Tornai in fila e un altro uomo mi chiese i dati e la carta d’identità. Mi trattenni dal pronunciare la fatidica frase: «Non sai chi sono io?» e alla fine ricevetti il nuovo passaporto. Mentre andavo via mi chiamò: «Scusi? Posso avere il suo autografo? Sono sempre stato un fan».
Parliamo di donne. Conoscevo Joan Collins dalle feste in piscina che facevo negli anni ’50 nella mia villa nel Kent. Suo padre Joe era l’agente della mia seconda moglie Dorothy Squires. In costume da bagno Joan attirava l’attenzione di ogni uomo. Darryl F. Zanuck, boss della 20th Century Fox, ne era ossessionato sin da quando l’aveva vista con un diamante nell’ombelico nel film ‘La regina delle piramidi’, così quando la vide fuori dal suo ufficio, la sbatté al muro e si vantò: «Non hai avuto nessuno, se non hai avuto me. Ce l’ho più grosso, il migliore, posso andare avanti tutta la notte».
Joan declinò l’invito ma mentre si allontanava notò sulla scrivania del boss il famoso ornamento: un modello in scala naturale del suo membro, in oro. Zanuck ci teneva che ogni donna lo vedesse. Lo vide anche Joan Crawford ma non ne fu impressionata: «Ho visto cose più grandi uscire dai cavoli».
Le misure contano a Hollywood. E’ il motivo per cui Eva Gabor indossava un diamante grosso come una palla da baseball. Eravamo sul set, l’aiuto regista la chiamò in scena e lei, con il suo accento esotico, gli chiese di tenere l’anello che non poteva essere ripreso. Mentre se lo metteva in tasca, strabuzzò gli occhi per quanto era grande e per curiosità le chiese quanto valesse. Lei rispose: «Cinquantamila, caro». Il poveraccio cominciò a tremare per la paura di perderlo e lei lo tranquillizzò: «Non preoccuparti, caro. Mi è costato solo due notti di duro lavoro». Si sminuiva, sua sorella Zsa Zsa avrebbe detto “solo una notte di duro lavoro”.
La meravigliosa Shelly Winters, con la quale ero sul set nel 1975, vide che giocavamo a poker e chiese di partecipare: in mezz’ora ci aveva ripuliti tutti. Anni dopo un regista la chiamò per un’audizione. Non chiedi a star di quel calibro di fare un provino, le inviti a pranzo e offri la parte. Lei invece accettò di fare l’audizione, si presentò nel suo ufficio con una grossa borsa da cui estrasse due statuette dell’Oscar e disse: «E’ ancora necessario il provino?».
Nel 1961 girai in Italia ‘Il ratto delle Sabine’, dove io facevo Romolo, il fondatore di Roma. Un giorno facemmo una scena in montagna, in una laguna tra donne che si facevano il bagno. A un certo punto l’aiuto-regista disse: «Ok, adesso giriamo la versione latinoamericana!» e tutte le ragazze si spogliarono nude. Per la gioia della crew, arrivò un’improvvisa ondata di acqua gelata e dovemmo trarle in salvo fuori dall’acqua.
Brando manda Sacheen Littlefeather a ritirare il premio
Nel 1972 presentavo la cerimonia degli Oscar e, aperta la busta, lessi che il premio come migliore attore andava a Marlon Brando per “Il padrino”. A ritirarlo fu Sacheen, che fece un discorso sui diritti dei nativi americani che Brand aveva a cuore. Nella confusione, lei dimenticò di ritirare l’Oscar e io me lo portai a casa. Lo misi sul tavolo e la mattina dopo mia figlia mi svegliò con urla di gioia: «Papà papà hai vinto l’Oscar!».
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