Andrea Laffranchi per “il Corriere della Sera”
Quando entra capisci che la statura non ha a che vedere con la statura. Leonard Cohen è minuto nel fisico, i suoi 82 anni e il bastone cui si appoggia lo rendono ancora più fragile.
Artisticamente però è un gigante. Eccolo nella stanza del consolato canadese che da tempo ospita le sue apparizioni in pubblico, si toglie il cappello nero che lo accompagna anche sul palco, e sorride. Venerdì esce il suo nuovo album «You Want it Darker».
Canzoni che hanno come protagonista quella voce baritonale che scava nelle profondità dell' anima, arrangiamenti in cui si privilegiano gli strumenti acustici, e testi in cui, a partire dal titolo, di luce ne vede poca. Nei giorni scorsi, in un'intervista al New Yorker , ha detto di essere «pronto alla morte».
Marianne Ihlen e Leonard Cohen
«Ho esagerato, a volte ci si lascia andare a un eccesso di drammatico. Ho intenzione di vivere per sempre», e accompagna le parole con un lampo negli occhi. Lungo tutto il disco si sente la presenza di qualcosa che incombe. Un sentimento che Cohen si porta dietro da «Old Ideas» (2012). Qui canta di fiamme che si spengono - e se è amore può anche essere vita -, di ricordi che sembrano lontanissimi, e lascia filtrare una serenità interiore che viene dall'accettazione. La title track si chiude con un drammatico «Hineni, I'm Ready, my Lord».
«Eccomi», la parola ebraica che la Bibbia mette in bocca ad Abramo nel momento del sacrificio di Isacco, «Sono pronto, mio Signore»: «L'essere pronto fa parte della nostra anima - racconta -. È parte della mia natura e di quella di tutti noi offrirsi nel momento critico in cui l' emergenza diventa evidente».
Pesa ogni parola e ogni parola è un' immagine. I riferimenti biblici abbondano nel disco. «Non mi sento una persona religiosa. In alcuni momenti ho sentito la grazia di un'altra presenza nella mia vita, ma non ci posso costruire una struttura spirituale. Questi però sono il panorama e il vocabolario con cui sono cresciuto».
«You Want It Darker» è il quattordicesimo album della carriera. «Un cantautore, lo sa bene Dylan, non scrive canzoni a caso. Così se sei fortunato puoi tenere il veicolo in salute e reattivo nel corso del tempo. Ma che tu possa fare un viaggio lungo non è una tua scelta». A proposito di Dylan e letteratura. Cohen ha iniziato proprio come poeta. Per anni si è detto che se la musica fosse mai arrivata a quel riconoscimento sarebbe stato grazie a uno dei due.
Nessuna gelosia perché sia toccata all' altro. «Per me il Nobel a Dylan è come dare la medaglia per la montagna più alta all' Everest». La poesia ce l' ha dentro. Una parola lo spinge a recitare un testo inedito. Chissà se farà parte di un futuro album... «A Dio piacendo... Spero di poterne fare altri due di dischi: uno in cui Pat Leonard (già nel disco prima e vecchia conoscenza di Madonna, ndr ) orchestra le mie canzoni e uno di brani inediti».
A produrre l' album c'è, assieme a Pat Leonard, il figlio Adam. «Lui è un grande cantautore. È stato un privilegio poter avere la sua attenzione microscopica sul mio lavoro». E il figlio che ne pensa? «Non ti sgrido», ride Leonard prima di passargli la parola. «Secondo mia moglie, tutta la mia vita è stata un prepararsi a questo disco. E non credo che lei intenda la mia carriera, ma le cene, lo stare a bordo palco dei suoi concerti quando avevo 5-6 anni».
Conclude Leonard: «Nella vita, se ti va bene, le cose fra i membri di una famiglia diventano più profonde. Se non sei fortunato non accade. Se sei sfortunato si deteriorano. Io sono stato fortunato».