Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago,
premetto che non ho mai incontrato nella mia vita Sergio Mattarella, che se dipendesse da me in questo preciso momento metterei al Quirinale il mio vecchio amico Giuliano Amato, e che in fatto di connivenze siciliane sono l’ultimo siciliano della terra. Non ne ho. Mi sento italiano, non siciliano.
Detto questo leggo con orrore un rapporto della Gestapo come quello che ha scritto ieri Marco Travaglio, su Mattarella, a denunciarne crimini suoi o di suoi parenti vicini e meno vicini. Robaccia. Chi fosse suo padre, ossia un uomo politico che in Sicilia di certo non poteva scansare al cento per cento eventuali e attigui mafiosi, lo sappiamo a memoria da quando eravamo alla terza elementare.
Che un suo fratello sia stato indiziato (e poi assolto) perché accusato di avere incamerato soldi non guadagnati col lavoro, me ne strafotto altissimamente, nessuno risponde dei propri fratelli. (Io non rispondo di quel che fa e dice il mio adorato fratello maggiore Lanfranco, l’unico italiano ad avere un carattere peggiore del mio.)
Che Danilo Dolci avesse raccolto un dossier in cui diceva peste e corna della famiglia Mattarella, che Dolci sia poi stato condannato in tribunale perché non c’erano prove e dovesse pagare cifre consistenti che la famiglia Mattarella non gli ha mai chiesto, questo sì che mi interessa (l’ho appreso da Pietrangelo Buttafuoco, l’essere umano più traboccante di sicilianità che io conosca), questo sì che mi interessa.
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Che Sergio Mattarella abbia avuto un contributo elettorale in denaro da qualcuno che non era un fior di santo (quanti lo sono, a parte Travaglio?), un contributo che lui dice di non avere mai chiesto, ancora me ne strafotto altissimamente: avessi fatto politica in Sicilia o nel Ruanda-Urundi di certo avrei preso qualche contributo elettorale, solo che io nella mia vita ho solo voluto fare il Mughini, e laddove Sergio Mattarella non voleva solo fare il Mattarella. Voleva migliorare le cose del mondo. A ciascuno il suo.
Torno alla definizione di “rapporti della Gestapo”, e di quanto mi annoino. Travaglio è un eccellente giornalista esperto in atti di accusa, atti di cui ha una documentazione enorme. Scrive pagine e pagine con cifre e date, e le mette due o tre o quattro volte in successivi libri, ove riferisce di intercettazioni, di percentuali in denaro prelevate extra legem, di combutte malandrine eccetera eccetera all’infinito.
DI MATTEO ANTONIO INGROIA MARCO TRAVAGLIO MARCO LILLO GIANCARLO CASELLI jpeg
Con quel che gli offrono i comportamenti dell’attuale classe politica italiana, ha di che scrivere e pontificare per i prossimi cento anni. Glielo auguro, dato che è un ancora un ragazzo.
Solo che per me sono nenie noiosissime. Non che la buona parte di quelli di si occupa (e dei quali certamente parlava quando ha fatto le vacanze con l’“ominicchio” Ingroia, e per giunta se l’è pagate da sé quelle vacanze, e a me l’idea di pagarmi delle vacanze con Ingroia appare al di fuori dell’umanamente comprensibile), non siano dei farabutti calzati e vestiti. Lo sono. Calzati e vestiti.
Di certo non lo è Giuliano Amato, sui cui pure Travaglio ha fatto numerosi rapporti con lo stile Gestapo. Purtroppo a me interessano poco gli atti di accusa, e moltissimo la letteratura: il fatto che tutti gli uomini, e specie gli uomini politici, sono al confine tra il regno delle virtù e il regno dei vizi e che quel confine sia sottilissimo. Vuoi raccontare la loro verità, raccontala così e non inanellando pagine dei pubblici ministeri o magari delle sentenze.
Scusami Dago, se rubo ancora qualche riga del tuo spazio prezioso. Sto leggendo una pièce teatrale del 1995 che lo scrittore di lingua inglese Ronald Harwood aveva dedicato all’interrogatorio che un Travaglio americano del 1946 aveva fatto al grande conduttore d’orchestra tedesco Wilhelm Furtwängler, accusandolo di essere stato pappa e ciccia con i nazi e questo per avere vissuto nella Germania del 1933-1944 e per aver guidato un’orchestra a una festa di compleanno di Hitler.
Che meraviglia questa pièce. Altro che i rapporti della Gestapo, seppure in un’altra direzione. Un uomo, le sue convinzioni quanto alla sovranità della musica, le sue contraddizioni, le sue brucianti rivalità con altri direttori d’orchestra, il suo essere profondamente tedesco ma non antisemita, le donne che gli andavano appresso e quel che ne nasceva. Tutto. La vita. Come mi piacerebbe leggere qualcosa del genere sul siciliano e mio coetaneo Sergio Mattarella.
GIAMPIERO MUGHINI