Marco Molendini per “il Messaggero”
I dieci anni che sconvolsero la musica: sono gli anni di Spotify, simbolo dello streaming. Una rivoluzione silenziosa e clamorosa che ha rapidamente sconvolto gusti, orientamenti, linguaggi, abitudini, prospettive, offrendo alla vasta platea dei consumatori un' idea di ordine nella prateria disordinata del web. I dischi sono finiti in una nicchia simbolica del 10 per cento del mercato, con l' impero dello streaming al 75 e i download in caduta libera al 12. È quanto basta per suonare il de profundis dell' album, così come lo abbiamo conosciuto, ascoltato, comprato e amato. Per i più ottimisti è destinato a restare in vita artificiale (anche se, già a metà 2018, erano stati prodotti ben 70 mila nuovi titoli fisici nel mondo).
IL BOOM
Intanto la piattaforma svedese, fra qualche giorno, annuncerà di aver superato i 90 milioni di abbonati e prevede di raggiungere i 150 nel 2020, mentre dispone di una platea complessiva di 191 milioni di utenti (con gli iscritti free): un boom siderale per una società partita nel 2008, ma l' app è stata lanciata nel febbraio 2009 in Uk, nel 2011 in Usa e nel 2013 in Italia. Un trionfo, quasi un contagio.
Eppure la strada è lastricata di interrogativi, pur nella prospettiva di ulteriore vorticosa crescita. Da una parte ci sono i dubbi sullo stato di salute della musica. Spotify l' ha salvata o l' ha rovinata, imponendo criteri del consumo basati sulle sue playlist governate da algoritmi che orientano il gusto degli ascoltatori, pur aiutandoli a muoversi in quella libreria sconfinata che hanno a disposizione?
LA MONOTONIA
La vastità di opzioni si traduce, paradossalmente, nell' uniformità degli orientamenti con il successo decretato dalla presenza nelle playlist. Insomma, se Shape of You di Ed Sheeran ha superato il record dei 2 miliardi di ascolti è anche perché è finito nel maggior numero possibile di liste. Non solo, l' effetto secondario è che i musicisti sono spinti nella ricerca del consenso, nelle direzioni indicate dall' algoritmo, con il risultato di contribuire ulteriormente alla monotonia della scena musicale.
Lo specchio è offerto dalle classifiche Spotify del 2018, dominate dagli eroi della prateria hip hop: Drake, il più gettonato con 8,2 miliardi di riproduzioni, Post Malone, XXXTentacion in America, Sfera Ebbasta, Capo Plaza, Gemitaiz in Italia. Tutti artisti di sesso maschile (e non è il primo anno) con Dua Lipa unica donna, quarta tra i dischi più ascoltati.
L' ALGORITMO
Gli accusatori hanno puntato il dito ancora una volta sull' algoritmo e Spotify ha risposto varando una classifica femminile (con Ariana Grande in testa). L' altro dubbio riguarda la durevolezza dei nuovi idoli musicali: le star del passato erano costruite per restare (Rolling Stones o Bob Dylan e via dicendo), oggi hanno la data di scadenza incorporata. La musica è costretta a sfornarne continuamente, meglio se assomigliano a quelli appena consumati.
Che prospettiva ci può essere in una situazione simile? Altro mistero: Spotify, come le altre piattaforme musicali, cresce ma perde soldi. Il bilancio 2018 ha un rosso tra i 286 e i 409 milioni di dollari. Ogni cliente comporta una aggravio di 2,68 dollari (Tidal, per dire, perde addirittura 6,67 dollari, Apple Music il concorrente più agguerrito, preferisce non rendere noti i suoi dati). Come mai? Producono largo scontento anche le royalties che Spotify riconosce agli artisti. È vero, l' industria musicale attraverso lo streaming è uscita dal tunnel, ma i compensi restano miseri.
RECORD
Il 24 dicembre scorso Mariah Carey ha battuto il record di ascolti in un solo giorno, arrivando a 10,8 milioni con All I want for Christmas is you (nel periodo natalizio ha sfiorato i 40 milioni): ma alla sua casa discografica andranno 66 mila dollari da dividere fra tutti gli aventi diritto, Mariah compresa. Poco cambia la disponibilità recente di Spotify di alzare il compenso per ogni stream da 0,0038 dollari a 0,00437. Tanto gli artisti vengono pagati su un sistema pro rata non in base alla quantità di volte in cui il brano è ascoltato ma in relazione a tutte le altre canzoni disponibili in streaming.
I GUADAGNI
In pratica più sei ascoltato più guadagni in percentuale, come ben sa quel 10 per cento di artisti che domina il 99 per cento degli stream. E se gli artisti che hanno voglia di combattere sono sempre meno (dopo una battaglia feroce Thom Yorke e arrivato su Spotify non il catalogo Radiohead e il suo), la lotta per essere pagati potrebbe incrociare in futuro una svolta nella politica di Spotify che potrebbe decidere di bypassare le case discografiche e produrre direttamente gli artisti, idea già percorsa con alcune esclusive da Apple music e che si è scontrata con l' opposizione drastica delle major: ma si sa chi è più forte in genere la spunta. E Spotify ha le chiavi del mercato musicale in mano.