Marco Giusti per Dagospia
nanni moretti sbava mentre parla di lina wertmuller
Da che parte stavamo e, soprattutto, da che parte stiamo oggi, con Lina Wertmuller o con Nanni Moretti? Perché ben ci ricordiamo, almeno quelli della mia generazione, la celebre scena di "Io sono un autarchico" dove Fabio Traversa spiega a un incredulo e appena svegliato Nanni Moretti "Lo sai che in America dall'università di Berkeley è stata offerta a Lina Wertmuller la cattedra si cinema?".
E Moretti ironico: "Ma chi... quella di Mimi' metallurgico... di Travolti da un insolito destino... di Pasqualino Settebellezze?". E Traversa insiste... "Era ora, vedrai che finalmente il cinema italiano ha trovato il suo alfiere...". E intanto Nanni Moretti sbava, sbava...
lina wertmuller mariangela melato
Rivista oggi questa scena ci riporta intatto il problema che non solo la critica italiana, ma un po' tutto il cinema italiano aveva con l'incredibile fortuna critica americana di Lina Wertmuller, prima donna a ricevere nel 1977, alla faccia di Moretti, una nomination all'Oscar come miglior regista della storia del cinema con Pasqualino Settebellezze, per il quale ebbe anche la nomination come sceneggiatrice.
GIANCARLO GIANNINI MARIANGELA MELATO - MIMI' METALLURGICO FERITO NELL'ONORE
I critici americani la amavano, mentre qua ricordo che solo Adriano Apra' la apprezzava. Dopo tanti anni, temo che proprio il fatto di essere donna, anzi una delle poche donne registe italiane degli anni 60 e 70, pesasse negativamente su di lei.
Che, inoltre, faceva un cinema molto legato a Fellini e alla commedia all'italiana che ci sembrava decisamente maschile, pieno di culi femminili esagerati e resi mostruosi, ricordate Elena Fiore? Pieni di Mimi', Pasqualini, interpretati da Giancarlo Giannini come risposta al supermacho del periodo, Lando Buzzanca, ma anche al super-attore della sinistra impegnata, Gian Maria Volonte'.
E intanto costruiva, oltre alla grande carriera del suo protagonista Giannini, eterno meridionale, quella di Mariangela Melato come prima star moderna, eterna settentrionale, capace di farci ridere come pochissime altre attrici. E allora, magari, ci stava soprattutto prendendo in giro, a noi spettatori maschi che riempivamo le proiezioni delle commedie sexy, con la parodia immediata dei nostri gusti e dei nostri supermachi.
Forgiata militarmente dal teatro e dalle riviste di Garinei e Giovannino, alle quali aveva segretamente collaborato, ma anche alla scuola di Carosello, scrivendo anonimamente centinaia di sketch (me lo disse lei), bazzica il cinema negli anni 50 come assistente di un piccolo film musicale di Giacomo Rondinella, "E Napoli canta" diretto da Armando Grottaminarda per diventare nel 1960 terzo assistente di Fellini per "La dolce vita" per poi passare a "Otto e mezzo".
E' Fellini, assieme a Garinei e Giivannini, che più la forma nella professione di regista. Decisamente anche più dei suoi colleghi della commedia all'italiana, che, almeno penso, non la vedevano esattamente come una di loro. Loro, i Montecelio Risi Scola, erano veramente un mondo chiuso e impenetrabile di maschi. La Wertmuller era un'altra cosa. Adatta alla televisione si disse subito. Perché il suo "Il giornalino di Gian Burrasca" con Rita Pavone e le musiche di Nino Rota fu una pagina clamorosa della RAI.
un complicato intrigo di donne vicoli e delitti
Non c'era un bambino che non cantasse "W la pappa-pappa-pappa col po-po-po-pomodoro".
E se sorvoliamo sui suoi esordi, l'opera prima felliniana "I basilischi , la prima commedia costruita come anti-scoliana, "Questa volta parliamo di uomini", i due musicarelli che firmò col nome di Giorgio O'Brien (solo oggi mi è chiaro il gioco di allusione con Giorgia O'Brien, trans con due voci...), o sul suo quasi western "The Belle Star Story", firmato Nathan Witch, cioè Strega, il suo vero cinema nasce davvero solo con Mimi' metallurgico" e con l'invenzione della coppia Giannini - Melato e tutto quel che ne segue.
Un cinema cioè che prende di punta la commedia maschile dei maestri, la commedia sexy buzzanchiana, il grottesco alla Petri e li trita in un modello Wertmuller da esportazione. Un cinema così maschile come il nostro e una critica così maschile come era la nostra non riuscivano a vedere quella che era la realtà del cinema grottesco e antimaschilista della Wertmuller.
rita pavone il giornalino di gian burrasca
Pauline Kael, la più celebre critica americana del tempo, odiava il cinema macho di Clint e amava il grotesque vaudeville show di Pasqualino Settebellezze di Lina. Moretti, che allora era in piena sintonia con i suoi spettatori e la sua generazione di critici la detestava non capendo perché gli americani fossero così ottusi. E noi, ahimè, gli andavamo dietro. Non vorrei dire quello che penso, che cioè c'era del razzismo nei confronti della regista donna da parte di tutti noi maschi, giovani e vecchi.
Potrei rifugiarmi nell'odio per il grottesco alla Petri, che c'era, o nell'odio per queste costruzioni barocche con primi piani, trucco pesante, sederoni subfelliniani. Ma ripeto. Temo che il problema fosse che, allora, ci dava noia che in America venisse candidata all'Oscar una regista donna. Punto e basta. Anche se, ammetto, andando avanti negli anni seguitavo a aver non pochi problemi col cinema della Wertmuller.
travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto 3
Così eccessivo, con punte trashissime... "Sotto sotto...", "Un complicato intrigo" mi sembravano e mi sembrano ancora film terrificanti. Quello che credo l'avesse capita meglio era Ciro Ippolito che da produttore le fece fare un film di grande successo come "Io speriamo che me la cavo" che non aveva nulla di grottesco wertmulleriano e esaltava Paolo Villaggio fuori da ogni macchiettismo. Detto questo credo che il suo cinema vada rivisto e riletto. Soprattutto in chiave critica. E ci sarà da chiedere scusa.
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