Marco Molendini per Dagospia
Quando incontra Lennon, Yoko ha già avuto un paio di mariti, qualche aborto, una figlia, un catalogo extralarge di amanti e innumerevoli brevi incontri. Ha vissuto e respirato il clima forte e avventuroso della New York del Village fine anni Cinquanta inizio Sessanta.
Incuriosita da tutto ciò che è bizzarro ha conosciuto e frequentato gli artisti del gruppo Fluxus, si è esibita con loro, ha vissuto con il compositore di avanguardia La Monte Young che aveva appena pubblicato un disco, Untitled Works, che nel sottotitolo veniva spiegato così: «Improvvisazioni per sfregamento di gong sul cemento, gong su corpi di legno, metalli sulle pareti». Ha fatto amicizia con Andy Warhol, con l'artista giapponese Yayoi Kusama, con il maestro del free jazz Ornette Coleman.
La figlia dell'oceano - VITA DI YOKO ONO
Con Lennon sono agli antipodi. Lei la fama la cerca, detesta il rock, sa assai poco dei Beatles, è sedotta dall'uomo in vista, ricco e famoso. Lui è schiacciato dalla fama, ha una fragilità silente che sta per esplodere, a 26 anni avverte il rischio di un futuro nell'ombra del passato. Viene attratto da quella donna non bella senza seno, senza sedere e con le gambe storte ma, soprattutto, dall'artista sfrontata: "Parlandole mi resi conto che sapeva tutto quello che sapevo io e anche di più". Il resto lo fanno l'intraprendenza di lei, la sua capacità di soddisfare ogni forma di fantasia erotica, gli acidi, le canne, l'eroina, l'eccitazione di scendere in campo in modo plateale, la sfida fatta di progetti sperimentali.
Cosa sarebbe stato Lennon senza Yoko Ono? Messa da parte la retorica del tempo (la femmina che spezza l'incantesimo del quartetto felice, in cui ognuno cominciava a pensare più a se stesso), il ritratto dettagliato della donna più insultata del rock aiuta a fare chiarezza non solo sulla sua figura ma anche sulla personalità di quello che, alla fine dei conti, era il più complesso dei Fab four, i ragazzi di Liverpool investiti da un successo capace di bruciare ogni ulteriore ambizione.
Dario Salvatori, studioso meticoloso della musica, collezionista smisurato, ha messo sotto tiro Yoko Ono da quando è apparsa, raccogliendo tutto quello che era possibile per raccontarla: strega, musa, artista, sperimentatrice, femminista, manager, collezionista, cacciatrice, seduttrice seriale. E ha dato corpo a un manoscritto a lungo curato, smarrito fra le carte dei suoi archivi, poi ritrovato e ora pubblicato col titolo La figlia dell'oceano (il significato del nome Yoko) dal Saggiatore.
È un racconto avvincente, il frutto "di un corpo a corpo di quasi mezzo secolo con un’artista, musicista e intellettuale senza eguali, troppo a lungo considerata solo come «spalla» di John Lennon" (scrive Salvatori nella introduzione). Un’indagine che fa finalmente luce piena su un personaggio sicuramente fuori dal comune, figlia ribelle di un banchiere, che a 20 anni, frequenta le avanguardie newyorkesi, a 30 scende in scena dal soffitto su una sedia e si adagia sul piano suonato da John Cage con i lunghi capelli neri che cadono verso terra e in un'altra performance consegna una forbice agli spettatori invitandoli a tagliare a pezzi il suo abito.
A 34 avvolge con drappi bianchi uno dei leoni di Trafalgar Square. Qualche mese prima incrocia John Lennon all'Indaca gallery di Londra, protagonista di un'installazione in cui visitatori dovevano piantare un chiodo su una tavola di legno. John si incuriosisce, lei si attacca a lui e non lo lascia più, nonostante le iniziali resistenze. Riesce a accompagnarlo fuori dalla gabbia dorata dei Beatles, sorreggerlo, indirizzarlo verso prove musicali di piena rottura col passato, invitarlo nel circolo della controcultura dove diventa un eroe dell’underground americano, affiancarlo in provocazioni protestatarie e pacifiste in un rapporto fatto di una singolare reciproca e irrimediabile dipendenza, clamorose esternazioni e personali debolezze.
Yoko riesce a organizzare e condividere perfino le avventure extraconiugali del suo John, come quei diciotto mesi passati alla storia come il lost week end in cui consegna il marito alla sua assistente di produzione, May Pang, per una lunga vacanza controllata a distanza. Nel tempo diventa custode del mito, consegnandosi al ruolo di vedova perenne.
Eppure, poche settimane prima della morte di Lennon, nei giorni in cui stanno registrando l'album Double fantasy nello studio Hit factory, inventa scuse improvvise (una riunione al Plaza con i funzionari della Apple, un incontro per una scorta di fiori di Bach) infilandosi negli hotel della zona con il suo amante, il gallerista Sam Green, conquistato con una lunga e insistente seduzione. Un anno dopo l'agguato al Dakota di David Chapman, consuma il lutto con Samuel Havadtoy, designer d’interni e gallerista, iniziando una convivenza che sarebbe durata vent'anni, mentre nel ruolo di vedova discreta, gestisce e incrementa il suo patrimonio, inventandosi abile investitrice.
Ci mette 38 anni per registrare la sua versione canora di Imagine firmandola, per la prima volta, come coautrice (in ripetute interviste John asseriva che il brano fosse frutto dell’ispirazione di sua moglie, soprattutto per il testo) che, in fondo, è come ribadire che quel Lennon celebrato è anche suo. E, a raccontarlo, c'è tutto quello che è successo da quel giorno alla galleria Indaca di Londra in cui piantava chiodi in una tavoletta di legno. Perdizione e evoluzione.
Luci (il suo gusto di esploratrice artistica, alcune prove singolari come Aos della Plastic Ono band con la partecipazione di Ornette Coleman alla tromba) e ombre (le sue ambizioni, la sua spregiudicatezza, quel circondarsi di cartomanti e guaritori). In fondo, è la donna accusata di "aver fatto finire i Beatles" che ha accompagnato il suo John verso una sofferta maturità, maturità forse arrivata proprio con Double fantasy: lontano dai fantasmi, dalla droga, dal passato, cantando Just like starting over (Proprio come ricominciare daccapo), pochi giorni prima che arrivasse la pistola fatale di Mark Chapman.
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