OPERA IN ROSSO – DEBITI E LICENZIAMENTI: A 50 ANNI DALLA LEGGE CHE NE RICONOBBE IL ''RILEVANTE INTERESSE NAZIONALE", LE FONDAZIONI LIRICO-SINFONICHE AFFONDANO – IL MIRACOLO AL CONTRARIO: TRA I 10 TITOLI PIÙ RAPPRESENTATI 8 SONO CANTATI IN ITALIANO MA NESSUNA NOSTRA CITTÀ FIGURA TRA LE 20 AL MONDO CHE METTONO IN SCENA PIÙ OPERE - VIDEO

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Sandro Cappelletto per la Stampa

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

Un rompicapo. Eliminato il corpo di ballo dell' Arena di Verona: 19 licenziamenti, e due mesi di cassa integrazione per tutti i dipendenti. 30 esuberi al Comunale di Bologna. 28 all' Opera di Firenze. 23 lavoratori in cassa integrazione a Bari, dove però, in seguito a una sentenza, 92 sono stati i reintegri e 43 le transazioni economiche effettuate.

 

Sono 400 le cause di lavoro perse in tutta Italia dalle nostre 14 fondazioni lirico-sinfoniche, con conseguente obbligo di assunzioni. «Dopo anni di buchi, ho raggiunto il pareggio di bilancio, ma non dormo la notte per trovare il modo di pagare gli stipendi. E faccio appello ai sostenitori privati perché intervengano», dice Maurizio Roi, sovrintendente del Carlo Felice di Genova, la cui attività prosegue a singhiozzo, dopo che è stata scongiurata la messa in liquidazione. Il Comunale di Bologna accede ai fondi per un piano di risanamento straordinario, ma si vede diminuire il contributo ordinario.

 

«Paradossale. Con i nostri spettacoli abbiamo vinto tre Premi Abbiati, il massimo riconoscimento della critica italiana, e il Ministero ci ha penalizzato proprio sulla qualità artistica», riflette il sovrintendente Nicola Sani.

 

Il governo stanzia 20 milioni l' anno per i prossimi tre anni per soccorrere i teatri più in affanno: si aggiungono ai 160 garantiti negli anni scorsi dalla Legge Bray. Ma il debito rimane colossale: 320 milioni di euro.

 

l arena di verona 2 photo andrea arriga l arena di verona 2 photo andrea arriga

Negli oltre 2000 teatri attivi nel mondo l' opera parla italiano: quattro (Verdi, Puccini, Rossini, Donizetti) tra i dieci compositori più eseguiti sono italiani e dei dieci titoli più rappresentati, otto sono cantati in italiano; fanno eccezione la Carmen di Bizet, in francese, e Il flauto magico di Mozart, in tedesco. Ma nessuna nostra città figura tra le venti al mondo che più mettono in scena opere e l' Italia è diciassettesima nel rapporto tra numero di spettacoli offerti e popolazione.

 

L' impegno e la promessa Correva l' anno 1967 e il Parlamento votava la Legge n. 800 che stabiliva: «Lo Stato considera l' attività lirica e concertistica di rilevante interesse nazionale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale».

Un impegno e una promessa; 50 anni dopo siamo riusciti a trasformare un primato in un problema, una grande risorsa in una voragine di costi.

 

Un miracolo al contrario. Un caso unico al mondo.

L' opera nasce nelle corti del Centro e del Nord Italia a inizio 600, come privato passatempo dei nobili: i Medici a Firenze, i Gonzaga a Mantova; piace talmente che nel 1637 una compagnia di cantanti-attori affitta a Venezia un teatro e comincia a vendere biglietti al pubblico.

 

Il trovatore - Opera di Roma Il trovatore - Opera di Roma

Nascono gli impresari: rischiano, guadagnano e talvolta, pieni di debiti, bruciano i teatri e fuggono. Si procede così fino al 1921 quando su impulso di Arturo Toscanini il Comune di Milano stabilisce che i lavoratori della musica devono godere di diritti mai prima riconosciuti: assunzioni stabili e non a stagione, ferie, assistenza medica, pensione.

 

Nel 1967 si vara la Legge 800, nel 1985 nasce il Fondo unico dello spettacolo, destinato a finanziare tutto lo spettacolo dal vivo; nel 1996, Walter Veltroni, ministro dei Beni culturali, vara il decreto che trasforma gli «Enti» in «Fondazioni di diritto privato».

 

Ma la riforma è finta: «La natura giuridica delle Fondazioni è totalmente privatistica, però sono controllate dall' ente pubblico. Dobbiamo sottostare alla spending review, al codice degli appalti, al controllo della Corte dei Conti, a una serie di vincoli che rendono difficile l' operatività», dice Cristiano Chiarot, presidente dell' Associazione che raggruppa i sovrintendenti italiani.

 

 

Il Fondo unico dello spettacolo, intanto, continua ad assottigliarsi: dal 1985 ad oggi è passato dallo 0,083% del Pil allo 0,025%. In valori reali, il deprezzamento supera il 60%. E il presidente di un teatro d' opera non è né un manager né un artista, ma il sindaco della città.

ARENA DI VERONA ARENA DI VERONA

 

Da due anni, alla Scala e all' Accademia di Santa Cecilia la legge riconosce una «forma organizzativa speciale», mettendole al riparo da tagli al finanziamento. Sono la Serie A dello spettacolo lirico e sinfonico italiano; soltanto loro possono permettersi determinati artisti e i relativi cachet.

 

La malattia dei costi Più produco, più ci rimetto: è la «malattia dei costi» che affligge i teatri d' opera, descritta dagli economisti statunitensi Baumol e Bowen negli Anni Sessanta. Gli incrementi di produttività sono limitati e il lavoro umano - centinaia tra orchestrali, cantanti, coristi, danzatori, operai, tecnici - non può essere sostituito dalle macchine, né compresso oltre un certo limite, se si vuole andare in scena dignitosamente. Ma solo in Italia questa malattia ha conosciuto la sua fase degenerativa.

 

Non posso sopportare la mediocrità dei funzionari, incompetenti quanto limitati, e lo stupido sperpero che ne deriva, accompagnato da un' euforia burlesca»: la lapidaria frase di Pierre Boulez - il grande compositore, direttore e organizzatore musicale francese scomparso lo scorso anno - si ritaglia bene per la maggioranza dei nostri sovrintendenti. Faceva eccezione la Scala, dove l' attaccamento della città al teatro e la statura dei direttori musicali, Abbado prima e Muti poi, non avrebbero tollerato mediocrità. Il Maggio Musicale Fiorentino, ha accumulato 70 milioni di debiti con l' avallo delle istituzioni locali e nazionali e degli istituti di credito. L' ultimo di una serie di sovrintendenti dimissionati o dimissionari, Francesco Bianchi, ha mollato lo scorso 24 febbraio. Lo ha sostituito Cristiano Chiarot che, su pressante invito del ministero, ha lasciato la veneziana Fenice per provare a salvare l' Opera di Firenze.

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«Mi piacerebbe che i vertici di questo sistema venissero selezionati con procedure competitive, quelle che il mercato normalmente utilizza», dice Pierfrancesco Pinelli, oggi chiamato a risanare l' Istituto nazionale del Dramma antico di Siracusa, dopo due anni di lavoro come commissario straordinario ai piani di rientro delle otto fondazioni più indebitate (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Napoli, Palermo, Roma, Trieste), che hanno fatto ricorso ai 160 milioni della Legge Bray.

 

Il caso Verona Si è aggiunta poi Verona: nonostante i 400 mila biglietti venduti durante gli spettacoli estivi, la Fondazione è stata ad un passo dalla liquidazione, invocata a più riprese dal sindaco Flavio Tosi, responsabile di infelici scelte dirigenziali. Ora, dopo la chiusura del corpo di ballo, anche a Verona si attende l' ossigeno della Bray. «Le nostre fondazioni liriche non generano un flusso di cassa positivo, anzi lo bruciano; non hanno un patrimonio che le sostiene e hanno un importante debito storico», prosegue Pinelli. Come si inverte un meccanismo che da mezzo secolo produce debiti? «Il taglio al costo del personale è importante, ma non si può ridurre tutto a questo. Minori costi degli allestimenti, aumento dei ricavi con politiche più mirate al pubblico e a sfruttare meglio il flusso turistico».

 

faust nell'allestimento di david mcvicar. firenze faust nell'allestimento di david mcvicar. firenze

Nell' anomalia dei teatri italiani «ha giocato l' aspettativa che l' amministrazione pubblica avrebbe sistemato tutto». Definitivo rimane il giudizio di Alfonso Malaguti, autore con Cecilia Balestra di Organizzare musica , volume che analizza l' andamento dei costi dei nostri teatri dal 1967 in avanti: «In un punto c' è un fallimento clamoroso: il rispetto del budget non si verifica mai. C' è una corsa allo sforamento, regna il ripiano "a piè di lista" e si susseguono i provvedimenti tampone».

 

Pubblico o privato? «Non seguo molto le vicende dei teatri italiani. So che sono impegnati a chiedere soldi allo Stato. E che alcuni tardano a pagare gli artisti e i collaboratori». Così a La Stampa Peter Gelb, general manager del Metropolitan di New York.

 

Il budget annuale del Met è di 300 milioni di dollari: metà viene dai biglietti, dalle vendite del negozio del teatro, dai proventi dei cinema che nel mondo trasmettono le sue recite. L' altra metà da donazioni individuali o di grandi società. Negli Stati Uniti il protagonismo dei privati è un dogma: «Il finanziamento pubblico è pericoloso perché crea una barriera artificiale tra artista e pubblico. I burocrati che gestiscono questi sussidi rappresentano i produttori e non i consumatori. È assurdo dire che le arti decadrebbero se le sovvenzioni venissero abolite o ridotte. Il mercato dell' arte creato dai sussidi pubblici può generare negli artisti un' arroganza irritante», ha scritto Michael Prowse.

ARENA DI VERONA ARENA DI VERONA

Ma se in Italia, come in tutta Europa, il contributo pubblico venisse meno, i nostri teatri non potrebbero sopravvivere.

 

Solo la Scala arriva, tra biglietti (i più cari d' Europa) e sponsor, a coprire la metà dei suoi costi; gli altri seguono, molto indietro.«Se si vuole che l' opera rimanga parte fondante del nostro patrimonio identitario il sostegno pubblico è indispensabile. Il governo deve riconoscere ai teatri il ruolo di infrastruttura culturale del Paese, garantendo stabilità di finanziamento e puntualità nelle erogazioni», dice Nicola Sani.

 

Prendere questa decisione significherebbe almeno avere una strategia. Determinato sul fronte dei musei, dei siti archeologici e nella riorganizzazione del sistema delle sovrintendenze, il Mibact non esprime idee forti sullo spettacolo dal vivo. E il ministro Franceschini non ama, né frequenta la musica lirica e sinfonica. Predilige il jazz.

 

IL TEATRO LA SCALA DI MILANO IL TEATRO LA SCALA DI MILANO

Educazione musicale «Quasi centomila spettatori in meno dal 2008 al 2013, nonostante un aumento delle recite. È l' eredità che la crisi ha lasciato alle fondazioni», ha scritto Mauro Balestrazzi in un' inchiesta del mensile Classic Voice.

 

Ora la curva discendente si è fermata, grazie alle politiche verso giovani e studenti, vezzeggiati con recite dedicate come la «primina» della Scala del 5 dicembre, i biglietti last minute a Bologna, gli spettacoli e i laboratori per le scuole di Torino, Milano, Roma e Palermo, l' impegno del San Carlo nel progetto «alternanza scuola-lavoro». È questo l' investimento strategico: «Bisogna rendere obbligatorio l' insegnamento della musica nella scuola primaria e secondaria, per garantire un pubblico futuro», dice Chiarot. «Oggi la gestione è migliorata, le recite aumentate, il pubblico è in ripresa, la qualità spesso alta». Il futuro è roseo? «È il debito pregresso che ci blocca». Teatri d' opera, specchio della nazione

SCALA DI MILANO SCALA DI MILANO

 

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