Flavia Amabile per "La Stampa"
Comprano tutto, gli stranieri in Italia fanno shopping di ogni simbolo di un Paese che è ancora un mito e che però ora si finanzia con i soldi che arrivano dall'estero. A Roma, in mani straniere, è finita via Veneto con quello che resta della Dolce Vita, e altrettanto sta capitando a via del Corso, da sempre il cuore della Capitale, mentre i commercianti storici assistono impotenti, sapendo di avere il destino segnato, a un processo che sembra inarrestabile.
Le strade non sono monumenti: cambiano, si adeguano alle persone e ai tempi. Anche via del Corso è cambiata molte volte, la sua è una storia lunga che a ogni mutazione racconta un nuovo pezzo di società. C'è stato un tempo in cui era la strada del Carnevale e delle grandi feste in strada. È stata la via delle corse dei cavalli e dalle orse ha anche preso il nome. È stata la via che ha incantato Goethe nel suo viaggio in Italia e che è diventata il centro dell'universo di Federico Fellini. E, poi, la strada dello struscio elegante, dei negozi di lusso e dei momenti più opulenti del socialismo di Bettino Craxi che negli anni Ottanta e fino ai primi Novanta aveva qui la sede del partito. Gianni De Michelis, nel frattempo, alloggiava al Plaza.
Oggi via del Corso sta cambiando di nuovo pelle, e la nuova è uno specchio dell'Italia del XXI secolo: molto globale, molto low cost. I negozi diventano quasi tutti «store», le marche sono multinazionali, si chiamano «brand» e rendono le strade principali dello shopping identiche in tutto il mondo. Negli ultimi quattro, cinque anni in tanti hanno chiuso i battenti. Hanno anche riaperto, ma nomi e insegne sono diverse. Uno dei primi arrivi è stato il Disney Store, sbarcato lungo la strada al posto di Sermanti, negozio di oggetti in pelle in grado di attirare clienti in quantità molto inferiore rispetto a uno dei più noti brand commerciali per bambini.
VIA DEL CORSONel 2009 ha chiuso il palazzo della Rinascente, uno dei simboli della grande distribuzione made in Italy, un marchio che aveva accompagnato gli italiani per decenni, dagli Anni Venti in poi. Al suo posto, dopo alcuni mesi è arrivato Zara, spagnolo, uno dei nomi entrati di prepotenza nello shopping mondiale. Ma l'elenco è lungo: sono arrivati Swarovski, Puma, Accessorize, Swatch, Desigual, Nike, Gap, marchi stranieri che tutti conoscono, mentre non altrettanto si può dire di quelli che hanno sostituito.
A volte, però, hanno ceduto anche quelli che potrebbero sembrare colossi italiani: prima Mondadori, Feltrinelli, Cisalfa o Trussardi, e quest'anno anche Benetton, che da qualche tempo ha cambiato strategia nella distribuzione e ora preferisce i locali non troppo grandi.
Il palazzo di via del Corso, all'angolo con via Tomacelli era un punto fermo. È un palazzo storico, costruito nel 1901, un tempo di proprietà dell'Unione Militare: qui Benetton aveva anche avviato una costosa ristrutturazione finché non è arrivata una di quelle offerte che non si possono rifiutare. Anzi, due. Il gruppo spagnolo Inditex ha offerto 160 milioni di euro per l'acquisto dell'edificio.
Ma H&M, scandinavo, ha messo sul piatto 20 milioni in più. E Benetton ha fatto le valigie lasciando senza troppi rimpianti via del Corso e correndo a investire altrove. Sempre nel 2013 è arrivato Alcott, californiano, mentre alla fine del 2014 è previsto lo sbarco che potrebbe dare definitivamente a via del Corso un aspetto da centro commerciale: la Apple sostituirà Diesel, marchio multinazionale italiano.
«Ci stanno eliminando tutti, uno dopo l'altro - commenta Pacifico Piperno, titolare di Esotica, uno dei negozi italiani che resistono sulla via - È una legge di mercato, come quella che ha cancellato le salsamenterie per sostituirle con i supermercati. Non possiamo fare molto, loro combattono con mezzi molto più potenti, hanno risorse per noi impensabili., hanno stravolto completamente il mercato. A questo punto, possiamo solo denunciare quello che sta accadendo e cercare di resistere quanto più è possibile».