Estratti dall'articolo di Selvaggia Lucarelli per ''Il Fatto Quotidiano''
L’altro ieri mi trovavo ad un pranzo con molta gente seduta attorno ad un tavolo. Nel giro di cinque minuti, tutti i telefoni appoggiati su quel tavolo hanno cominciato a vibrare, lampeggiare, suonare in simultanea. Tutti, compreso il mio.
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Ho approfittato di un momento di distrazione generale e ho guardato cosa stesse accadendo. Nessuno aveva invaso la Polonia, ma qualcuno aveva “invaso” il cellulare (o l’icloud, non è ancora chiaro) di Diletta Leotta diffondendo alcune immagini e video in cui la giornalista di Sky era svestita o in compagnia di un ex fidanzato con cui non stava prendendo un tè.
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Naturalmente, finito il pranzo, si è discusso del caso. A qualcuno era arrivato un link da cui scaricare il tutto, a qualcuno la foto di spalle, ad altri la foto in topless, ai più fortunati perfino il video, pensate un po’. Nel frattempo, sul web, dopo il recente suicidio di Tiziana Cantone, le reazioni erano piuttosto confuse. Ho immaginato il panico nelle redazioni, le riunioni in fretta e furia per decidere la linea editoriale, le appassionanti e sofferte correnti di pensiero quali “Oh, un culo è un culo” e “Eh, se poi si suicida ci fanno il culo!”.
Alla fine, tirando le somme, la notizia è stata veicolata in cinque modi diversi:
1) molte pagine fb con centinaia di migliaia di iscritti hanno condivisotranquillamente foto e link della Leotta nuda come a dire “la vicenda Cantone non ci ha insegnato un emerito cazzo”. In fondo gli amministratori di queste pagine sono ignoti e in più, mentre postare foto rubate è reato, postare link che portano alle foto non è reato (una legge geniale), per cui non hanno nulla da perdere.
2) Qualche sito d’informazione minore ha dato notizia della vicenda con titoli acchiappa-likesenza postare il link alle foto ma assicurando che era molto facile reperirle sul web, come a dire: “Oh, io t’ho detto dove trovà la droga, ma non te la vendo”.
3) Altri siti hanno partorito l’idea migliore, ovvero titolo e articolo che trasudavano indignazione (“Ecco, ci risiamo!”. “Attacco indegno!”. “E’ barbarie!” con accanto e in bella vista le parole chiave di ricerca “Leotta” “Nuda” “hackerate” “foto” “hot” e così via, che in pratica vuol dire “Uso la vicenda per fare click però sono molto indignato eh!”.
4) Va detto che i siti dei quotidiani più importanti - quelli che dopo la vicenda Cantone sono stati messi sotto accusa per aver cavalcato la vicenda con leggerezza- hanno taciuto almeno finchè la Leotta non ha inviato un comunicato stampa per chiarire la vicenda. Il concetto era: “Eh no, questa volta noi non ci uniamo ai barbari del web, abbiamo imparato la lezione… però se ne parla lei siamo autorizzati a parlarne anche noi.”.
5) i più coerenti, va detto, sono stati i soliti subumani che dalla vicenda Cantone hanno imparato una lezione luminosa: c’è sempre un modo più creativo per dare della puttana ad una donna o per rallegrarsi del fatto che qualcuno abbia messo in rete delle sue foto nuda.
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E ora tornerei all’aneddoto iniziale, quello dei cellulari che vibravano durante un pranzo, perché la verità, alla fine di tutta questa storia e delle sfumature con cui questa storia è stata più o meno barbaramente raccontata su siti e giornali, è lì, nei nostri cellulari. Dal suicidio di Tiziana Cantone non abbiamo imparato nulla. O meglio, abbiamo imparato a tenerci il più possibile alla larga da pubbliche accuse di insensibilità.
Dalle figure di merda. Dal rischio di passare per complici se una Tiziana o una Diletta qualunque decidono di farla finita. Abbiamo imparato solo ad essere più prudenti, non migliori. I nostri telefoni, questa volta più del web, ci raccontano quello che siamo: mentre i giornali sceglievano (pubblicamente) la linea della discrezione, i giornalisti di quelle stesse redazioni giravano a colleghi ed amici su whatsapp foto e video di Diletta.
Commessi, direttori di banca, calciatori, impiegati, mariti, fidanzati e ballerini inviavano compulsivamente foto di Diletta ad amici e parenti. Si commentavano il volume delle sue tette, la sua depilazione, il sospetto di operazioni chirurgiche, le pose, le posizioni e così via, come se su whatsapp valesse tutto, come se l’episodio Cantone fosse sepolto sotto dieci dita di polvere. Io stessa ho visto quelle foto. Le ho aperte. Non le ho condivise, non le ho inviate, ma le ho guardate.
Se io, noi, dal caso Tiziana avessimo imparato qualcosa, non le avremmo inviate, non le avremmo guardate e il caso Leotta non sarebbe neppure esistito, ma la verità è che non siamo diventati migliori. Solo un po’ più furbi e un po’ più ipocriti. E scommetto che molti dei politici che ieri hanno votato la legge sul cyberbullismo, zitti zitti, una sbirciatina alle foto di Diletta l’hanno data pure loro.