STASERA MI VOGLIO DIVERTIRE, MI LEGGO “DORMIREMO DA VECCHI”, PRIMO ROMANZO DI PINO CORRIAS - STORIA MAGNIFICA E DI GENERE, CHE SEMBRERÀ FAMILIARE AI RUMINATORI DELLA MULTIMEDIALITÀ GOSSIPPARA, TRA TV, WEB E RESIDUI DEI MALINCONICI ROTOCALCHI DA BARBERIA

Stefano Pistolini: E allora leggendo si sentono echi de “La Grande Bellezza”, “Il Giudizio Universale”, “L’Ultimo Capodanno”, in un’apocalisse venata di complicità, nella competenza di uno sfascio, nella contemplazione del disastro. Capace di dribblare, con noncuranza, ragionamenti sociologici e pianti collettivi...

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Stefano Pistolini per Il Venerdì di Repubblica

 

LA COPERTINA DEL NUOVO LIBRO DI PINO CORRIAS LA COPERTINA DEL NUOVO LIBRO DI PINO CORRIAS

La bulimia esistenziale è l’ossessione di “Dormiremo da vecchi”, primo romanzo di Pino Corrias. Bulimia di desideri, possessi, anime e cose. Narrata da un frequentatore professionale di questi scenari prima come cronista poi come sceneggiatore e scrittore. Ma che qui si supera, indossando non il cappello del cuoco, ma il copricapo stellato del grande chef che danza tra ingredienti, personaggi e trovate, con una maestria che vien voglia di definire “internazionale”.

 

MICOL VELLER E PINO CORRIAS MICOL VELLER E PINO CORRIAS

Storia magnifica e di genere, che sembrerà familiare non tanto ai lettori di buona narrativa, ma ai ruminatori della multimedialità gossippara, tra tv, web e residui dei malinconici rotocalchi da barberia. Il mirabile gioco d’allestimento, comunque, non sta tanto nell’intreccio, quanto nel suo ritmo, che è fatale e divertentissimo. E il messaggio sta nel viaggio e in ciò che vediamo percorrendolo, piuttosto che nelle conclusioni a cui perfidamente approda, in un mondo ormai diviso, più che tra buoni e cattivi, tra perfidi e variamente incazzati.

LE MEJO PENNE NON DEGLI ALPINI CECCARELLI CORRIAS GRAMELLINI LE MEJO PENNE NON DEGLI ALPINI CECCARELLI CORRIAS GRAMELLINI

 

La vicenda ha un protagonista e diversi comprimari. Oscar Martello è il tycoon all’amatriciana coi rotoli di contanti in saccoccia, ( i “pippi”, le “zucchine” e gli “spiccioli” nel suo smagliante vernacolo) che ha conquistato Roma - anzi “Dolceroma”, come fosse una pasticceria delle tentazioni – ricorrendo a tutti i mezzi necessari: servilismo, inganno, sopraffazione, corruzione, prostituzione innaffiata di coca, la droga degli avidi.

 

E’ partito dal basso, anzi dal bassissimo, e adesso ha i miliardi, un attico pazzesco, tre Jaguar, amanti, pupe varie e una bellissima moglie che lo odia, nonché due figliette fantasmatiche. Soprattutto tiene per gli attributi buona parte dei potenti che gli servono per coronare il sogno: dopo essersi schifosamente arricchito con film mediocri e vergognose serie tv, diventare il padrone di Cinecittà, la fabbrica dei sogni, la fonte della felicità. 

 

pino corrias pino corrias

Il suo migliore amico è Andrea, sceneggiatore fané, uno a cui piace buttarsi via, prenderla come viene, contemplare il lato estetico, anche quello terribilmente volgare di un attrezzo umano come Oscar. Poi c’è Jacaranda, attrice bellissima, infelicissima, portata a fare tutte le scelte sbagliate, dal momento che ha cominciato sbagliando e non s’è mai ripresa.

 

Infine c’è un giovane commissario di Polizia che fa un punto d’onore d’incastrare Martello e i suoi mefitici traffici finanziari, i suoi trucchi per essere il più furbo di tutti. Ma anche lui ha i suoi spettri che lo seguono, anche lui agisce come conseguenza più che come istinto. Tutti paiono impegnati nella storia terminale, verso cui convergono le loro esistenze e le nefandezze che hanno commesso.

 

La grande bellezza La grande bellezza

Non fosse che il loro agitarsi viene sovrastato e poi ingoiato dalla scena che lo ospita: due enormi ganasce masticatrici, punteggiate di esserini luccicanti. E’ la versione d’oggi della Città detta “Eterna” e del suo fetido splendore nell’inventare l’arte di arrangiarsi che, a tutti i livelli, ora è un codice genetico e la ridanciana presa in giro proprio di quell’eternità. Perché qui ogni cosa sembra perenne e al tempo stesso sul punto di disfarsi.

 

Corrias governa il suo teatro sommergendolo di figurine, scorci, tic e tragedie. Chi vuole, può dilettarsi a supporre le persone reali che ispirano i personaggi di questa città-trogolo, un posto magnetico dove vorresti sempre stare, se avessi le tasche più piene e dove non resta che vendersi, sperando che qualcuno voglia comprare.

 

L’unica debolezza dell’autore di questa magnifica cavalcata è il suo imperituro amore per il mondo dello spettacolo, sia pure in versione becera e vigliacca: la grande illusione del cinema, anche nello squallore di quel poco che sa fare oggi, e perfino la penitenza della televisione, buona per rifornire le casse. Romanticamente, il cinema resta sempre meglio della vita.

 

Pino Corrias e Lorenzo Fazio Pino Corrias e Lorenzo Fazio

E allora leggendo si sentono echi de “La Grande Bellezza”, “Il Giudizio Universale”, “L’Ultimo Capodanno”, in un’apocalisse venata di complicità, nella competenza di uno sfascio, nella contemplazione del disastro. Servirà un Luc Besson in stato di grazia, per dare a quest’epica il finale a cui certamente aspira: diventare un film di ciancicatissime esistenze, con tutto lo sfarzo realizzativo, un paio di grandi stelle e, appunto, un adeguato regista polar di scuola franzosa. Capace di dribblare, con noncuranza, ragionamenti sociologici e pianti collettivi.

 

 

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