LA STRAORDINARIA STORIA DELLE CENSURE IN RAI RACCONTATA DA VITO MOLINARI – IL 93ENNE REGISTA DI OLTRE 200 TRASMISSIONI DELLA TV PUBBLICA, COMPRESA QUELLA DELL'ESORDIO, IL 3 GENNAIO 1954, RICORDA: “UN FESSO DI DEMOCRISTIANO FECE UN’INTERPELLANZA PERCHÉ FRANCA RAME NON MOSTRASSE LE DUE GAMBE CONTEMPORANEAMENTE MA UNA PER VOLTA! – ERA VIETATO PRONUNCIARE ‘MEMBRO’ O ‘AMANTE’ E I DERIVATI DELLA PAROLA ‘FICA’. A UN TELECRONISTA SPORTIVO FU IMPEDITO DI CITARE IL BENFICA” - E POI LO SCANDALO “CANZONISSIMA ’62”, LO SKETCH DI TOGNAZZI E VIANELLO SU GRONCHI... – VIDEO

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Estratto dell’articolo di Antonio Gnoli per “Robinson – la Repubblica”

 

vito molinari 2 vito molinari 2

È stato per più di trent’anni il “domatore” di comici e soubrette televisivi. La televisione, che qualcuno definisce buona, che oltre all’intrattenimento ha contribuito alla crescita di un paese entrato tardi nella modernità. Vito Molinari, 93 anni, è una delle ultime memorie storiche del piccolo schermo.

 

[…] Ha scritto memorie sulla Rai, sulle persone che ha incontrato e con le quali ha lavorato. Il suo esordio coincise con quello della tv.

 

Che ricordo ha?

«Il 3 gennaio 1954 diressi il programma inaugurale della televisione. Durò un’ora dalle 11 alle 12. Facevo vedere le telecamere; poi c’era un filmato che spiegava come le immagini si propagassero nelle varie città; infine ci fu un cocktail e la benedizione del vescovo».

 

[…] Che Rai era quella dei primi anni Cinquanta?

«Bigotta, ma anche destinata a crescere».

 

vito molinari 1 vito molinari 1

Quando dice bigotta a cosa si riferisce?

«All’asfissiante dominio democristiano. Un potere condiviso con la Chiesa cattolica. Non a caso come amministratore delegato fu chiamato Filiberto Guala. Si dimise dopo un paio di anni e si rinchiuse in un convento di trappisti. Un personaggio singolare».

 

Nel senso?

«Entrò in Rai dichiarando la sua assoluta estraneità al mondo della comunicazione e dello spettacolo. Non era mai stato al cinema e non sapeva cosa fosse quell’oggetto che qualcuno aveva misteriosamente chiamato televisione. Gli fecero visionare Il barbiere di Siviglia, regia di Franco Enriques. Il commento di Guala fu che le immagini disturbavano la musica e che forse sarebbe stato meglio trasmettere l’evento a schermo scuro. Gli spiegarono che la televisione era una cosa ben diversa dalla radio. E poi, a voler giustificare lì la sua presenza, si definì un modesto crociato chiamato in Rai per cacciare pederasti e comunisti».

 

VITO MOLINARI IN UN DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI VITO MOLINARI IN UN DISEGNO DI RICCARDO MANNELLI

Fu però anche un innovatore.

«A un certo punto si aprì alla società civile. Riuscì a far passare un concorso per esterni in cui furono assunti personaggi che avrebbero fatto la storia della televisione, come Angelo Guglielmi, Enrico Vaime, Piero Angela; altri — come Umberto Eco, Gianni Vattimo, Furio Colombo — avrebbero trovato altrove la loro riuscita professionale».

 

Lei che posto si è ritagliato?

«Credo, senza falsa modestia, di aver contribuito a quella televisione che ancora si rimpiange».

 

Chi c’era con lei agli esordi?

«Con me entrarono Franco Enriques, Eros Macchi, Mario Landi e altri. Ciascuno ha cercato di inventarsi una propria televisione».

 

VITO MOLINARI VITO MOLINARI

Cosa aveva quella televisione di diverso?

«Per dirla con una battuta: non era sbracata come lo è

oggi».

 

Però era anche molto imbrigliata, sorvegliatissima.

«Questo è vero, ho dovuto fronteggiare non so quante censure. Ma se penso alla professionalità che quella televisione esprimeva mi viene da piangere al pensiero per come si è ridotta».

 

Della tv di oggi chi le interessa?

«Come uomini di spettacolo Renzo Arbore, a suo modo geniale perché ha inventato un nuovo linguaggio. E poi Fiorello. Ma sfondo porte aperte».

 

Cosa le piace di Fiorello?

«La naturalezza in tutto quel che fa. Il più bravo di tutti. Potrebbe rivoluzionare il linguaggio televisivo. Ma credo abbia paura di sbagliare e per questo si inventa orari strani e interventi brevi».

dario fo e franca rame - canzonissima 1962 dario fo e franca rame - canzonissima 1962

 

A proposito di censura ci fu un famoso episodio che la riguardò.

«Più d’uno, a quale si riferisce?».

 

Quello in cui coinvolgeste il presidente della Repubblica di allora: Giovanni Gronchi.

«Il programma era Un due tre,con Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello. Accadde che Giovanni Gronchi invitò Charles de Gaulle in visita in Italia, a una prima della Scala. Erano sul palco presidenziale e quando Gronchi stava per sedersi, qualcuno spostò la sua poltrona di quel poco che lo fece rovinare a terra. La televisione riprese quella scena. E Tognazzi e Vianello ne fecero la parodia».

 

dario fo - censura - canzonissima 1962 dario fo - censura - canzonissima 1962

A quel punto?

«Lo sketch in cui Tognazzi toglie la sedia da sotto il sedere di Vianello fu visto come uno sberleffo, un’onta da lavare col sangue dei due comici. Il programma venne chiuso, era il 1959».

 

Non c’era ancora Bernabei?

«No, arrivò come direttore generale nel 1961».

 

Cosa pensa del suo operato?

«Fu un interprete assoluto. Ma doveva eseguire uno spartito scritto dal potere democristiano. In particolare da Amintore Fanfani. E quella parte, non c’è dubbio, l’ha svolta con una intelligenza che sfiorava il fanatismo ideologico».

 

 

dario fo - canzonissima 1962 dario fo - canzonissima 1962

Si stenta oggi a pensare a una rigidità così ferrea.

«Era un’altra epoca e occorreva combattere per non cedere a ogni veto posto dall’ultimo cretino. Una volta un fesso di democristiano fece un’interpellanza parlamentare perché in televisione Franca Rame che ballava e cantava non mostrasse le due gambe contemporaneamente ma una per volta!

 

Girava anche una specie di manuale per come parlare. Il lessico andava depurato. Era una ossessione della dirigenza. Per esempio non si poteva pronunciare la parola “membro” o “amante”. Erano banditi anche i derivati della parola “fica”. A un telecronista sportivo fu vietato di pronunciare Benfica, dovendo limitarsi a dire la squadra di calcio avversaria. Un accanimento surreale».

 

VITO MOLINARI VITO MOLINARI

A proposito di Franca Rame, lei ha lavorato anche con Dario Fo.

«Facemmo Canzonissima del 1962. Con Dario scrivemmo i testi e registrammo 12 delle 13 puntate. Ovviamente il tutto doveva passare al vaglio della direzione».

 

[…]

 

Cosa accadde?

«A parte alcune obiezioni che comportarono lievi modifiche, il grosso dei testi passò indenne. Almeno così sembrò. Quel rilievo fatto a Franca Rame troppo scosciata accadde nella prima puntata. Poi ci venne in mente di aggiungere uno sketch nel quale si denunciavano i rischi del lavoro in fabbrica. La direzione volle visionare il testo. Fu lo stesso Bernabei a chiamarci al telefono».

VITO MOLINARI VITO MOLINARI

 

E voi gli leggeste il testo?

«Fu Dario a parlargli. C’era già un clima da centrosinistra.

Ci sembrava che una satira contro le durezze e i pericoli del lavoro in fabbrica fosse in linea con un paese che stava cambiando».

 

Ma lo sketch in cosa consisteva?

«La zia di un operaio di una fabbrica di insaccati andava a trovare il nipote, scivolando finiva negli ingranaggi di un enorme tritacarne, ma la produzione non poteva essere interrotta. Il giorno dopo l’operaio riceveva 150 scatolette della zia. Bernabei trovò l’episodio disgustoso e inappropriato. Dario insisteva che quello era un modo per denunciare il lavoro in fabbrica. Ci fu una grande litigata con Bernabei che troncò la conversazione. Ma l’episodio che fece traboccare il vaso fu quello legato agli incidenti mortali sui cantieri edili, non ce lo fecero mai passare e a quel punto ritirammo le nostre firme dal programma».

 

Non provaste una mediazione?

VITO MOLINARI VITO MOLINARI

«Non ci fu verso, Bernabei era irremovibile. Quell’episodio concluse la presenza televisiva di Fo e Franca Rame. Sarebbero tornati 15 anni dopo con la presidenza di Paolo Grassi».

 

[…]

 

Nel suo libro “La mia Rai” dedica a suo padre alcune pagine piuttosto drammatiche.

«Aderì alla Repubblica sociale di Salò. Era stato fascista come tanti italiani ma il fatto che un uomo sostanzialmente mite sposasse la causa del duce e dei tedeschi resta per me un mistero oltre che un dramma».

 

Gli ha mai chiesto ragione di quella scelta?

«Non ne ha mai voluto parlare, la sola cosa che mi disse è che nella vita bisogna essere coerenti».

 

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Non gli fece notare che la coerenza non poteva essere un valore di fronte all’enormità degli eccidi che i tedeschi e i fascisti avevano compiuto?

«Per lui cambiare casacca, un vizio molto italiano, era il peggiore dei mali. Dopo la guerra fu epurato, gli vennero tolti il lavoro e lo stipendio. Furono anni duri. Ricordo che mi dovetti impiegare in una società di noleggio di pellicole cinematografiche per portare a casa qualche lira. In seguito subì un processo, fu scagionato, riottenne il posto e finì la sua carriera come Procuratore superiore delle imposte dirette. Per me la sua vicenda è stato un trauma e un dolore».

vianello tognazzi un due tre vianello tognazzi un due tre

 

Un altro dolore è stata la morte di sua moglie.

«Hilda si ammalò di cancro, fu operata nel 1989 ed è morta nel 1994. Negli ultimi anni abbiamo passato molto tempo qui, nel golfo del Tigullio».

 

Con la televisione quando ha chiuso?

«Negli anni della malattia di mia moglie. Comunque mi dimisi dalla tv nei primi anni Sessanta, volevo continuare a occuparmi di teatro e scrivere libri. Cominciò con la Rai il periodo di collaborazione».

 

Cosa le resta dell’esperienza televisiva?

«Tutto quello che la memoria è riuscita a trattenere, i Caroselli che ho fatto, più di 500, le regie ai programmi, i volti e le persone che ho conosciuto, frequentato e che ho accompagnato ai loro esordi».

 

A chi pensa?

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«A trasmissioni come L’amico del giaguaro con Gino Bramieri, Raffaele Pisu, Marisa Del Frate. Seguii il debutto televisivo di Paolo Poli, che poi fu tenuto per anni fuori dalla televisione, per via che non faceva mistero delle sue preferenze sessuali; Walter Chiari, un talento assoluto, generoso, pigro con una capacità di improvvisare unica; Cochi e Renato: dovetti combattere per fare accettare la loro comicità surreale; Fred Buscaglione che in privato era l’opposto dello smargiasso in doppio petto da gangster che cantava Eri piccola così. Morì, a un incrocio schiantandosi con la sua auto contro un camion».

 

Fu una delle prime morti mediatiche.

«Era il febbraio del 1960, Buscaglione rincasava all’alba dopo una notte in cui aveva cantato in un night. Nel pomeriggio avevamo registrato uno sketch per Carosello sulla birra. Ironia della sorte pronunciò alla fine la fatidica battuta: “Solo chi beve birra campa cent’anni”. Morì che ne aveva 39. L’azienda che produceva birra cancellò lo spot».

 

VIANELLO TOGNAZZI VIANELLO TOGNAZZI

Lei è stato anche lo scopritore di Villaggio.

«No, a scoprirlo fu Maurizio Costanzo. Lo avevo conosciuto a Genova e mi chiese di recitare per il teatro universitario che dirigevo. Era magro, occhi azzurri, voce flautata. Ambizioso come pochi, voleva recitare parti serie. Non colsi immediatamente la sua vena di comicità aggressiva. Fu Costanzo, che lo portò in un cabaret romano, a tirargliela fuori. Compresi allora il suo potenziale e lo utilizzai nel personaggio del dottor Kranz e in quello di Giandomenico Fracchia. La Rai al tempo cercava nuovi comici, nuove figure. Feci debuttare Oreste Lionello, Gianfranco Funari, Enrico Montesano. Ma il più grande di tutti perché colto, spiritoso, surreale, fulminante nelle sue battute, fu Marcello Marchesi».

 

Ingiustamente dimenticato.

«Era un vulcano di idee e un talento della scrittura. Diventammo amici e ne rimpiango la prematura scomparsa».

 

Sono in molti che ha conosciuto e che non ci sono più.

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«A volte mi sento un sopravvissuto di lusso. Come diceva Marchesi: l’importante è che la morte ci trovi vivi».

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