Dal profilo Instagram di Antonella Nesi - giornalista di AdnKronos
Semibreve storia molto triste: ci invitano, a me e ad altri colleghi, ad un incontro stampa su un importante evento che si terrà alla fine della settimana. Non c’è verso, nonostante diverse domande specifiche, di far dire all’organizzatore praticamente nulla sul cast (che vada oltre un comunicato diramato la mattina stessa dell’incontro) né sulla conduzione dello show.
Stacco. Stamattina un importante nome del cast, direi il più importante per un evento che si tiene a Roma, è su circa 8 quotidiani come il nome di un conduttore. Ai colleghi e agli uffici stampa mi sento di chiedere: non sarebbe stato meglio abolire completamente l’incontro con i giornalisti ‘foglia di fico’? Potete fare gli incontri ristretti (come già avviene per le interviste esclusive) contrattandoli direttamente con il club degli 8. È più dignitoso per tutti.
Quello che non si può fare è far perdere un paio di ore di tempo ad un gruppo di colleghi per farli passare da ricoglioniti. Sono sicura che capirete. Ps: voglio aprire un dibattito, non accusare qualcuno. E in realtà, rispetto a quello che è stato definito il club degli 8, il perimetro stamattina è più ristretto perché c’è chi ha deciso di fare scelte più originali.... #èlastampabellezza #ioleggoigiornali
“Noi siamo noi e voi non siete un … “: 8 giornali insieme per non farsi bruciare la notizia dai più piccoli
Franco Bagnasco per www.tpi.it - 15 aprile 2021
Tra chi si cimenta ogni giorno, per lavoro, nel racconto dello spettacolo, esiste una serie A e una serie B? Tra i cronisti che scodellano perennemente news sulle uscite discografiche e interviste ai cantanti da classifica, c’è una ridottissima casta di eletti, gaudente e privilegiata, e a seguire una plebe smarrita e scomposta, che tira a campare?
Parliamoci chiaro, in Italia la risposta è sì. È sempre stato così, da che giornalismo è giornalismo. Fanno premio naturalmente non tanto firma e notorietà del collega o della collega (per quanto possa avere lavorato bene sulla propria autostima), ma la testata di appartenenza del medesimo/a, la sua autorevolezza e soprattutto la sua diffusione. Leggi, le vendite.
Tutto questo nel meraviglioso mondo pre-pandemia. Popolato spesso di conferenze stampa (fisiche, in adeguata, ampia location) per “tutti”, e di lussuose cenette privée a invito con l’artista seduto al tavolo a conferire con 5-6 giornalisti delle agenzie e dei principali quotidiani. Per dare a questi ultimi lo scoop o le notizie più performanti, e lanciare al ringhiante resto del mondo le fettine panate di quel che avanza.
Poi magari, se ti va di lusso, esce qualcosina di buono anche per il gruppone dei gregari che poi si accalca al buffet; sempre sia benedetto. Un mondo popolato di presentazioni di dischi di artisti italiani fatte a Miami (perché fa più figo) con volo e hotel pagato solo per pochissimi amichetti del gotha.
Ma anche di inviti ai concerti all’Arena di Verona col pullmanone pieno di cronisti che parte da Milano un po’ prestino per seguire conferenza ed evento e tornare a casa nottetempo in torpedone, sempre modello Coppa Cobram di Fantozzi, e a far da contraltare l’auto privata che preleva i 5-6 fortunati che una volta giunti a Verona avranno posto in prima fila riservato dall’ufficio stampa in sala conferenze (questa cosa mi ha sempre divertito molto) e albergo in centro gentilmente prenotato e pagato dall’organizzazione. Hai visto mai si possano stancare e poi, innervositi, farsi scappare nel pezzo due critiche all’artista.
Ma c’è un problema: la pandemia, come La Livella di Totò, ha quasi spazzato via quel mondo di privilegi al quale una fetta (fettina) del giornalismo musicale italiano era abituata.
Le conferenze stampa di una volta, quelle in presenza, quelle a cui partecipavano principalmente le testate che si potevano permettere di esserci (vedi alla voce trasferta) o che entravano nel numero chiuso di uno spazio “fisico”, per via del Covid non ci sono più. La pratica delle conferenze in streaming per tutti, fatta di Zoom, Skype, Streamyard e quant’altro, nel combinato disposto con le chiusure di ristoranti e locali, ha dato una mazzata all’ego e ai benefit (anche concreti ma soprattutto informativi) della serie A dell’informazione leggera. Ora, alle conferenze stampa online, ci sono tutti, dal quotidiano nazionale al grande o piccolo sito con due redattori.
Così si è creato di recente un gruppetto di pressione di otto primarie testate nazionali che ha rivolto un accorato invito privato ma ufficiale agli uffici stampa nostrani. Ridatece er mejo. Trovate il modo. Rivogliamo la panna sulla torta: solo noi otto, tutti assieme appassionatamente. Magari fate un doppio streaming, quello dei pochi Ricchi e quello dei tanti Poveri. È inaccettabile che si sia tutti qui, in 170 nelle rispettive finestrelle, a pari merito sulla linea di partenza. Noi e L’Eco di Gorgonzola. Noi e il sito Canicattì News. Noi e il blog Spettacolissimo per tuttissimissimi. Alle prese con le stesse notizie. Che magari, coi potenti mezzi e l’immediatezza del “webbe”, escono anche prima ovunque bruciandosi! Suvvia, è così volgaVe… Suvvia, non possono uscire Fanpage o Open o Leggo o magari TPI prima di noi…
Ironie a parte, la motivazione ufficiale della richiesta sarebbe non mettere sullo stesso piano testate gratuite e altre a pagamento. E non mescolare eventuali domande di interesse squisitamente locale ad altre di respiro nazionale.
O magari lasciare che un sito pubblichi prima del grande giornale la risposta alla domanda argutissima (e durata 10 minuti d’orologio, il triplo della risposta) di uno dei soloni del giornalismo musicale in Italia. Ovvero, dare qualcosa in più, d’ufficio, a quei giornali per i quali, in edicola o sul web, c’è un prezzo da pagare.
Ma in concreto si legge: gli scoop a noi. Preorganizzati. Gli altri, quelli più piccoli, si accontentino degli avanzi, come nei cari vecchi tempi pre pandemici. In attesa che tornino (ma quando? E con quanto budget in meno?), alcuni uffici stampa si stanno già organizzando con interviste Skype singole a parte riservate ai pochi, ma non sempre la cosa è fattibile per ragioni organizzative. E tutto comunque ha un sapore terribilmente retrò piuttosto sgradevole. Soprattutto se è richiesto d’ufficio per pochi eletti e non è frutto di contatti, conoscenze o accordi personali del singolo giornalista con l’artista. Cioè un valore aggiunto scaturito dal lavoro, non dà una corsia preferenziale. Non è tanto fame, insomma, “ma voglia di qualcosa di buono” direbbe la Contessa dello spot all’autista Ambrogio.
Come la prendono gli uffici stampa? “A me pare un suicidio – dice il responsabile di una nota agenzia di comunicazione che preferisce non rivelare il proprio nome -: se questi otto vogliono lo stream collettivo da soli, io lo posso anche organizzare, figurarsi, mi evito otto interviste singole: ma il rischio è l’omologazione. Avranno tutti e otto le stesse frasi e le stesse notizie.
Quando ho visto arrivare questa richiesta sono rimasto più che altro stupito. E poi, in genere, noi non amiamo le corsie preferenziali. Possiamo fare a volte scelte precise di testate, questo sì, per garantirci maggiori coperture. Si parla quasi solo di quotidiani, parliamoci chiaro. E poi valutare altre richieste motivate e interessanti di approfondimenti da parte di altre testate a seconda anche dello spazio che verrà concesso al pezzo o al servizio. E poi molto dipende anche dal nome dell’artista.
Non posso andare da alcuni dei big della mia agenzia e chiedere loro di fare un’intervista collettiva, e una per otto persone. Mi guarderebbero male, come minimo. Si fa un’unica conferenza stampa con tutti, e non se ne parla più. Non so, da un lato è una richiesta che paradossalmente mi toglierebbe anche qualche incombenza; lasciandomi però tante perplessità”.