Mariano Sabatini per il quotidiano “La Città”
Ogni apparizione della scrittrice e giornalista Barbara Alberti che sia in tv o in libreria o sui periodici, è un fulmine nel cielo apparentemente sereno di questa nostra Italia tanto malandata da fingere che tutto vada bene. Alberti è portatrice sana e insana di passione, sincerità, energia, coraggio, contenuti. Tutte qualità che si ritrovano anche nel romanzetto – il diminuitivo si giustifica soltanto per le dimensioni – Non mi vendere, mamma!, appena uscito per le edizioni Nottetempo.
Soltanto 148 pagine che però deflagrano potenti contro la pratica della maternità surrogata, o meglio, per stare alla definizione che l’autrice predilige, dell’utero in affitto. Perché di vile denaro si tratta. Asia, una bambina abbandonata, all’orfanatrofio si innamora di Lillo, che da grande diventa il suo protettore. E la vende ai Trump, ricconi americani, come madre in prestito del loro erede. Viene fecondata in una clinica svizzera.
Una notte, una vocina la sveglia di soprassalto: “Ma che sei scema, mamma? Ma che davvero mi vuoi dare a quei due?” È il bambino, che le parla dalla pancia. Inizia così questa favola dalla morale così scoperta e coinvolgente. Quasi una crociata: <<Le crociate si fanno coi cannoni, uccidono, invadono. Io sono armata solo di una fiaba, la più lieve delle armi. E credo che possa incidere su questo giro di miliardi come nel film di Kurosawa, Sogni. Dove il protagonista, in piena catastrofe nucleare, davanti alla nube tossica che avanza si toglie la giacchetta, e gliela sventola contro>> dice Alberti.
I soldi vincono su tutto?
Ho immaginato una storia d’amore illegale fra due bambini, contro le regole degli adulti. E la regola principale è che oggi l’uomo non conta più niente, i soldi hanno sostituito ogni diritto, ogni relazione. Non mi do pace che pagare una donna per fare un figlio e poi sparire, passi per una battaglia di sinistra. Una volta le battaglie di sinistra si riconoscevano, perché tutelavano i diritti degli oppressi, non quelli dei ricchi.
Se ben regolamentato, ossia senza che ci siano passaggi di denaro, non può diventare un atto d’amore?
Queste cose non si regolamentano. Possono solo nascere spontanee, quando c’è un vero legame, un progetto comune. Nel libro il bambino racconta una storia di cui sono stata testimone quando ero all’università. Due amici gay spagnoli, molto legati a una ragazza, decisero di fare un figlio in tre, e lo crebbero insieme. Li ricordo come una famiglia perfetta. Ma quelli si volevano bene. Che sia un atto d’amore, lo crederò quando le miliardarie faranno i figli per le coppie di migranti.
L’unico atto d’amore lo dovrebbe fare lo stato, facilitando le adozioni, e permettendole una buona volta anche alle coppie gay e lesbiche. Che paradosso! C’è un esercito di bambini abbandonati, e uno di aspiranti genitori che li vorrebbero, e si rende difficilissimo che si incontrino… perché? quali interessi schifosi ci sono sotto?
Tu scrivi che si affitta la persona intera, non soltanto l’utero che è non è un pezzo staccabile….ti potrebbero dare della moralista, lo sai?
E’moralista essere contrati alla schiavitù? Credevo fosse morale.
E Cosa pensi della vicenda Vendola?
Che ha troppo esposto il suo bambino. Ho sempre avuto un istinto di protezione verso i miei figli, fra il sacro e lo scaramantico. L’enorme risalto pubblico della sua storia ha avallato la leggenda mediatica per cui sarebbero soprattutto i gay a ricorrere alla maternità surrogata. Assolutamente falso. Al 90 per cento si tratta di coppie di eterosessuali ricchi, che non possono avere figli, o vogliono risparmiarsi il disturbo: adesso che si può comprare, la considerano un’incombenza servile. David Riondino ci ha scritto un poemetto meraviglioso, “Il figlio della serva”.
In esergo metti questa frase: “L’unica rivoluzione che sia mai riuscita è la rivoluzione dei ricchi”. Perché?
C’è una canzone della guerra civile spagnola: Ganaron los capitales/ la guerra contra los hombres…Era il 1936. Ottant’anni dopo, la vittoria dei soldi sull’uomo è totale. Ha ragione il papa a parlare di idolatria, perché alla fine è un valore astratto. Nessuno dei grandi finanzieri che dominano il mondo potrà mai godere nemmeno in 100 vite di quanto possiede.
Tra i protagonisti del tuo romanzo che agognano al figlio da acquistare troviamo i coniugi Trump…hai doti profetiche?
C’è poco da esser profetici, quando lo scrivevo Trump era già candidato alla presidenza. Era già un’enormità, anche se non si credeva ancora che questo Ubù re d’America potesse vincere. I coniugi Trump mi sembravano i committenti ideali perché il bambino non li volesse come genitori, cercando di convincere la madre a scappare insieme, per non cadere nelle loro mani.
Perché hai scelto di dare alla storia una chiave grottesca?
A me sembra realismo magico. Non è stata una complicazione. Da quando è venuto fuori il personaggio di Chico, questo piccolo seduttore senza scrupoli, anche un po’ imbroglione, pronto a tutto pur di conquistare la sua madre surrogata, ho avuto un così lieto trasporto per lui, che il libro si è scritto da solo.
Il realismo fa rima con patetismo, in questi casi?
Nei i miei libri realtà e sogno, comico e tragico sono sempre indissolubili. Ma anche nella vita. Questo libro non è una predica, è un volo, un gioco, un atto di fede nell’immaginazione, come in un film di Chaplin.
Il romanzo è un omaggio alla tua cagnolona, la Bionda. Sogni, come me, che i cani possano salvare il mondo?
Tu sei più estremista, io credo che il mondo ormai è così avanti nel suicidio che non lo salva più nessuno, ma i cani almeno ci rendono più umani, più affettuosi in famiglia, diamo a loro tutte le carezze che non ci diamo fra noi, e loro ce le trasmettono, sono messaggeri d’amore. Ho tenuto a lungo una scritta in cucina “Cosa ne sai dell’amore, finché non hai guardato negli occhi il cane che ami?”.
A proposito, scrivi “più il mondo è brutto, più dobbiamo essere bellissimi”. Ti pare facile?
No, è una lotta di ogni secondo, una lotta impossibile, un altro sventolar di giacchetta contro la nube tossica. L’orrore è contagioso, è osmotico, insidioso. Ogni sera quando vado a letto mi chiedo ma oggi quanta volgarità avrò inalato?
Ma ci provo a resistere, come dice quello sbruffone di Cyrano: Io mi batto, io mi batto, io mi batto. Vengo dall’utopia della mia gioventù, e ci sono rimasta. Allora non si voleva diventare vincenti, la parola più triviale del linguaggio moderno, eravamo molto più ambiziosi. Si studiava da eroi… cioè, da uomini liberi.
Barbara Alberti pepi nocera irene ghergo marina ripa e barbara alberti