Enrico Vanzina - La donna dagli occhi d oro
ECCO PERCHE' ENRICO VANZINA HA LITIGATO CON CHRISTIAN DE SICA
Da Dagospia del 6 giugno 2016
Simona Voglino Levy per “Libero quotidiano”
Sceneggiatore, produttore, autore per il teatro, scrittore e anche giornalista. Enrico Vanzina, figlio del grande regista Steno e fratello di Carlo, papà di oltre 100 fra le sceneggiature che più hanno appassionato gli italiani negli ultimi 40 anni (Eccezzziunale veramente, Sapore di mare e Vacanze di Natale, tanto per gradire), è anche autore di romanzi noir di successo. L'ultimo è La donna dagli occhi d'oro (Newton Compton pp 188 euro, euro 9,90), terzo di una trilogia che appassiona. Senza impegno. Vanzina se ne sta nel suo ufficio romano, sede della storica Video 80, fra una Dunhill e l'altra.
La passione per la scrittura c'è da sempre, ma quella per i romanzi noir?
«Già all' Università volevo fare il giornalista o lo scrittore, poi son stato risucchiato dal cinema, inevitabilmente. Mi sono formato sui noir americani modello Chandler, poi li ho ambientati a Roma: è una cosa che mi diverte molto. Volevo scrivere romanzi che si possano leggere in tre ore e mezzo».
Max Mariani, il protagonista dei suoi libri, è un detective misogino e romantico. Ha detto che scrivendo pensava a Pierfrancesco Favino. Non aveva ancora in mente Marco Giallini?
«Sì, cercavo di immaginare il mio personaggio e mi veniva in mente Favino. Gli ho mandato i libri, ma non mi ha mai neanche risposto. Giallini? Potrebbe essere, sì».
Ha detto che questa è l'ultima avventura di Max Mariani su carta. Ne farà un film?
«Più una serie...»
Su Sky o sulla Rai?
«Penso sarebbe più un prodotto da Sky».
Il paragone con Faletti, viene: le dispiace?
«No, ma lui faceva romanzi lunghi e cercava parrocchie alle quali affratellarsi. I miei romanzi tendono a dimostrare che anche in Italia si può fare del genere, come nel cinema».
Lei si leggerebbe?
«Io scrivo perché mi diverto. Mio padre, che ha fatto i più bei film di Totò, diceva che il Principe de Curtis era il maggiore ammiratore di Totò. Deve funzionare così».
Cosa legge?
«Tutto. Ultimamente, rileggo quello che mi è piaciuto e mi ha formato, tipo Guerra e pace, il più grande romanzo scritto».
La letteratura a che serve?
«Lo chiesi a Flaiano. Mi rispose: a esorcizzare la morte».
Il rapporto con la scrittura?
«Facile. Perché ho sempre scritto, non sono sofisticato come Balzac che riusciva a farlo solo se lo pagavano».
Suo padre Steno fu grande regista e sceneggiatore: i fratelli si sono divisi i compiti?
«Io non volevo fare cinema e Carlo desiderava fare il critico. A 17 anni si è ritrovato assistente di Mario Monicelli, ha fatto una gavetta straordinaria e quando gli hanno offerto di fare il primo film, mi ha chiesto di scriverlo con lui. Il resto lo sapete».
Il rapporto con suo padre?
Enrico Vanzina e Linda Lanzillotta
«Meraviglioso, molto allegro. Il suo insegnamento più prezioso è l'umiltà. E poi che il cinema bisogna farlo per il pubblico e non per i festival e i critici».
La critica non fu tenera con suo padre, vero?
«Il cinema però ha un grande critico che sta sopra a tutti: il tempo. Lui mette a posto tante cose. Alla fine è venuto fuori che papà era un grandissimo regista. E poi la commedia qui in Italia è sempre stata considerata genere minore, i grandi erano quelli che facevano i film drammatici».
Anche con voi la critica è stata così snob?
«In parte. In Italia se c'è una cosa che non ti perdonano mai è il successo».
È vero che con suo fratello utilizzavate gli incassi di film meno impegnati come Sapore di mare per farne di scarso successo ma più intellettuali?
«Abbiamo usato il potere contrattuale più che i soldi. Se vanti un grande successo ti permettono di fare cose che altrimenti non ti avrebbero mai concesso».
Per alcuni seguire le orme di genitori famosi è da raccomandati. Per altri, invece, il percorso è più duro: per lei?
«Avevamo molto più successo di nostro padre, raccomandati non ci siamo mai sentiti».
Il cinepanettone ha stufato?
«Il cinepanettone mi fa schifo, non lo facciamo più dal 2000. I nostri si chiamavano "film di Natale" ed raccontavano la società con ironia. Quando sono diventati farse nelle quali si passava da una città all'altra con storie di corna e basta, hanno perso».
Neri Parenti è un copione o un collega?
«Un amico».
Negli anni '80, le vacanze di Natale bisognava farle a Cortina. Poi è arrivata l'Engadina, poi i paesi esotici. Oggi?
«Il film di Natale si può fare ovunque».
Tipo: «Natale in Iran»?
«No, perché è triste e poi ci sparano appena arriviamo».
A chi si ispira?
«A Dino Risi e ultimamente mi piacciono film francesi. Il mio idolo è Neil Simon. E poi, Billy Wilder sulla commedia è insuperabile».
Sceneggiatore, autore per il teatro, produttore, scrittore, pure giornalista: da cosa trae maggiore soddisfazione?
«Nulla mi appaga come una sala piena di gente che ride».
Sono meglio i disonesti o gli incompetenti?
«Gli incompetenti, ma sono più pericolosi perché poi non pagano per le loro colpe».
Ce lo può dire cosa le ha fatto Christian De Sica?
«Qualcosa di insanabile: credevo di avere un amico e invece non ce l'avevo».