Lettera di Giampiero Mughini a Dagospia
Caro Dago, ho appena letto letto l’“appello” di alcuni galantuomini ed ex collaboratori de “l’Unità” che chiedono disperatamente di salvare il quotidiano dal disastro: la chiusura secca e la conseguente perdita del posto di lavoro per una trentina di giornalisti o poco più.
Una vicenda straziante. Mi immagino giornalisti/giornaliste né troppo giovani né vicini alla pensione che hanno figli cui dare da mangiare due volte al giorno, da pagare un mutuo, gente su cui un giorno sì e l’altro pure piovono bollette da saldare a data fissa. Straziante.
Ma purtroppo anche semplice. I costi di un giornale di carta (e dunque con i costi di distribuzione in tutto lo stivale della carta) e che deve pagare trenta o più stipendi a fine mese – contro i ricavi provenienti dalla vendita di 6-7000 copie al giorno – non sono minimamente sostenibili al giorno d’oggi.
Significa una perdita annua da calcolare in milioni di euro. Ne parla uno che uno che non ha mai scritto su “l’Unità” (uno dei pochi giornali italiani per i quali non ho scritto) ma per il quale quel quotidiano ha un enorme potere simbolico ed evocativo.
LA PRIMA PAGINA DI STAINO SULLA CRISI DELL UNITA
Per un tempo della mia vita, a via dei Taurini, stavo nel loro stesso edificio. Io salivo al secondo piano, dov’era la redazione del “Paese Sera” (che aveva la funzione della “Repubblica” prima che Eugenio Scalfari si inventasse quel quotidiano), Duccio Trombadori e altri miei amici scendevano al primo piano dov’era la redazione del giornale fondato da Antonio Gramsci.
Nel 2017 siamo in un altro millennio: un lettore di sinistra compra o “Repubblica” o “il Fatto”. Spazio per “l’Unità” ce n’è poco, pochino. Io stesso sono uno di quelli che ha “ucciso” “l’Unità”: non lo compro e non lo leggo più da 15 anni, e laddove compro “Repubblica” e “il Fatto”.
Mi spiace, me ne vergogno di fronte alla situazione dei colleghi de “l’Unità”, era il giornale che mio nonno comprava tutti i giorni. Ma è così. 6-7000 vendute da loro ogni mattina. Non una di più.
Naturale che anch’io vorrei che quelle copie ci fossero ancora in edicola. Ma i passaggi necessari sono due. Uno, dolorosissimo, l’amputazione di almeno metà della redazione e su questo il direttore Sergio Staino è stato leale, e per quanto gli fosse difficile essere leale.
L’altro passaggio, di cui nessuno parla ad alta voce ma che tutti pensano, è che l’eventuale imprenditore che si accollerà il “rosso” del quotidiano lo farà solo se avrà in cambio qualche “favorino” dalla politica dei partiti. Nel che io non ci vedo nulla di sacrilego, sempre che ci sia “proporzione” tra il dare e l’avere.
Non è sacrilego, è uno scambio semplice. Spero che tutti gli ex collaboratori dell’ “Unità” la pensino come me. Non fosse così, il loro appello viaggerebbe fra le nebbie del nulla.
Giampiero Mughini