Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, tutto nasce dal fatto che io leggo ogni mattina “Il Fatto” e soprattutto leggo le sue (tante) migliori firme, non perché io pensi di trovare nei loro scritti quello che io penso e bensì quello che loro pensano. (Tra parentesi Stefano Feltri, il futuro direttore del quotidiano voluto da Carlo De Benedetti è un ragazzo in gambissima. In bocca al lupo.) Figuriamoci se tra i primi articoli che leggo non c’è quello che scrive Pino Corrias, un giornalista/scrittore di primissima qualità, che è anche un mio amico.
E dunque ecco che oggi leggo un suo giudizio sprezzante sulla trasmissione serale di Barbara Palombelli (mia amica e madre del mio figlioccio Giorgio) di cui si dice che è “un sottoscala”. Mando subito un sms a Pino dicendogli che un insulto non è mai un argomento. Lui mi risponde che voleva essere “irridente” e non “offensivo”.
Aggiunge che non ha in simpatia i “sovranisti” che appaiono numerosi nello spazio condotto da Barbara. Replico che per quanto mi riguarda ho per quei “sovranisti” il più grande disprezzo possibile. Un disprezzo beninteso che qui affermo e qui nego nel senso che mai e poi mai scriverei contro ciascuno di loro un articolo alla maniera di quelli che Corrias scrive contro quelli che non gli stanno simpatici. Io scrivo solo di quelli che mi interessano e che premono sulla mia immaginazione: lo scrittore francese Robert Brasillach, il generale russo Vlasov fatto impiccare da Stalin, Elias Canetti. “Gente che non conosce nessuno” come dice la compagna della mia vita, e ha perfettamente ragione.
Ho per quei sovranisti il massimo disprezzo possibile ma quanto a disprezzo non scherzo nemmeno nei confronti dei fanatici e fanatizzanti della sponda opposta. Ho trovato surreale il confronto tra Gad Lerner e Michele Serra se sì o no restare in un quotidiano di nome “Repubblica” da quando ha come direttore un “sionista” e un amico di casa Agnelli quale Maurizio Molinari. (Naturalmente sono io che appioppo quelle definizioni a Molinari, non loro.) E’ un uomo a modo chi continua a scrivere avendo come direttore Molinari (e come “Padrone” la Fiat), ossia Serra, o chi sale con “le scarpe rotte” sulle montagne rappresentate dalle pagine del “Fatto”, ossia “il partigiano” Gad Lerner? Una contesa da riderci sopra se non fosse che è da piangerci sopra.
Tutti i giornali ma proprio tutti hanno dei “padroni”, quale più e quale meno liberale degli Agnelli. Quando ero entrato a far parte della redazione del “Manifesto”, i padroni del giornale erano quelli che volevano costruire un Partito comunista più a sinistra di quello di Palmiro Togliatti e Enrico Berlinguer. Io non credevo alle mie orecchie quando li sentivo parlare. E appena Lucio Magri venne da me a dirmi che avevo fatto male a pubblicare le interviste a un paio di intellettuali di sinistra che non erano entusiasti dei primi numeri del quotidiano, presi la mia borsa a tracolla, sbattei la porta della redazione e mai più. Qualcosa di eroico? Ma nemmeno per sogno.
Così quando alla terza pagina del “Paese Sera” filocomunista (in realtà cento per cento comunista) arrivò un articolo di un professore comunista che insultava Bettino Craxi, andai dal vicedirettore a dirgli che quella era monnezza e non era degna di essere pubblicata. Lui disse che andava pubblicata. Sbattei la porta e mai più. Qualcosa di eroico? Ma ovvio che no. Il “Paese Sera” era destinato ai lettori comunisti e loro doveva rincuorare. Avevano ragione quel mascalzone intellettuale di professore comunista e il vicedirettore, non io.
Ogni giornale ha il suo pubblico, il suo ruolo, la sua destinazione intellettuale. Direttore geniale, Eugenio Scalfari aveva fatto del suo quotidiano un breviario che ogni mattina rassicurava i suoi lettori di essere la gente migliore al mondo. I decenni sono passati. L’odierna “Repubblica” deve trovare un suo ruolo al tempo in cui la diade destra/sinistra non ha più alcun senso. Carlo Verdelli si faceva una sua idea di questo ruolo, Molinari se ne fa un’altra. Un buon giornalista può scrivere quel che vuole e può nell’uno e nell’altro caso. I “padroni” non c’entrano nulla. Non credo che John Elkann si alzi alla mattina e vada a scrutare una a una le righe dell’articolo in cui Francesco Merlo scrive se sì o no Giorgio Almirante meriti una via lui intestata.
Sono i giornali, bellezza. Dei prodotti editoriali. Una merce che si deve vendere. Niente a che vedere con un sacrario dove sono pronunciate cose Alte e Vere, come crede Lerner e che lui sia il più atto a pronunciarle. Niente ma proprio niente di tutto questo, e salvo per le migliaia e migliaia di fanatici e i fanatizzanti dell’una o dell’altra sponda. Entrambe da me disprezzate.