Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, prendo le mosse dall’uscita di Massimiliano Parente in cui ha accusato Francesco Borgonovo di darsi una doppia e contrastante identità, di essere una cosa nella sua vita personale e tutt’altra cosa nella sua vita professionale, dov’è un cantore della famiglia tradizionale.
Succede che Massimiliano Parente sia da tempo un mio caro amico e una sorta di fratello minore e che Francesco Borgonovo sia stato un mio intelligente e leale interlocutore ai tempi in cui collaboravo con il quotidiano Libero e dove scrivevo quello che volevo, virgole ivi comprese.
massimiliano parente foto di bacco (1)
Straovvio che i fatti i personali di Francesco siano fattacci suoi, punto e basta. E difatti io che non lo sentivo da tempo gli ho subito mandato un messaggio con su scritto “Un caro saluto”. Mi sembra ieri ed era invece una decina d’anni fa la sera che lui e Paolo Nori (oggi forse il miglior specialista di letteratura russa che ci sia in Italia) vennero a cena a casa mia. Subito dopo avremmo dovuto andare in una libreria romana al quartiere San Lorenzo dove un gruppuscolo di sinistroidi romani intendeva mettere sotto processo chi come me e Nori collaborava a un giornale orrido e fascistaccio com’era ai loro occhi Libero. A dire il vero loro intendevano processare Nori, forse perché speravano di portarlo sulla via del ravvedimento. Il caso mio era ai loro occhi disperato e insanabile, e difatti non ero stato invitato: mi ero per così dire imbucato.
il post di massimiliano parente su francesco borgonovo
Naturalmente presi la parola per spiegare che non vedevo di che cosa dovessi difendermi, scrivevo su Libero esattamente quello che pensavo e che avrei scritto su qualsiasi altro giornale al mondo, righe di cui di cui potevo render conto a Dio e ai santi. Una cosa era la fisionomia politico/ideale del giornale nel suo complesso, una cosa era quella del collaboratore Mughini. Erano stati questi i patti, e fin dal primo momento, tra me e Vittorio Feltri quando mi aveva telefonato invitandomi a collaborare al quotidiano che dirigeva. Mai una volta Borgonovo o chiunque altro aveva contestato una mia virgola. Io che pure sono uno specialista mondiale in fatto di valutazione di idioti e di idiozie, raramente mi ero trovato di fronte degli idioti come alcuni di quelli della libreria romana di San Lorenzo. Spiccava di luce propria una donna che avevo conosciuto ragazza durante i mesi da me trascorsi nella redazione del Manifesto quotidiano. Era come se il suo cervello si fosse immobilizzato a com’era stato quarant’anni prima. Faceva impressione. Ad un certo punto la razione di idiozie divenne tale che recuperai il mio impermeabile e me ne andai, laddove Nori e Borgonovo tollerarono sino alla fine. Dei martiri.
massimiliano parente enrica bonaccorti foto di bacco
Con Massimiliano è tutt’altro discorso, a cominciare dal fatto che è pazzo in senso tecnico, che non perde occasione per farsi del male, che i social li usa alla maniera di una droga che accenda ed esalti ciascuna sua uscita, che per lui lo scrivere significa scrivere fluviale. Non lo sento un paio di mesi ed ecco che in quei due mesi ha scritto un paio di libri. Ho qui sul tavolo il suo fluvialissimo Volevo essere Freddie Mercury, scritto a quattro mani con Giulia Bignami e pubblicato da Elisabetta Sgarbi, che ha un’aria sugosissima.
Ne parlo come uno che si porta la responsabilità di avere scoperto Parente quando lui aveva poco più di vent’anni. In una sala del Palazzo delle Esposizioni, qualcosa come più di trent’anni fa, fummo in tre a far da padrini di un libro che mi pare fosse il suo debutto. Gli eravamo seduti accanto Giordano Bruno Guerri, Vittorio Sgarbi e il sottoscritto. Una squadretta mica male, ne converrete. Avevamo fatto benissimo a farlo. Più tardi sarebbe stato Vittorio Feltri a diventare un compagno d’arme di Massimiliano e a scrivere con lui dei libri. E ha fatto benissimo, perché Massimiliano non è uno “scrittoruncolo” (Filippo Facci dixit) e bensì un intellettuale originale, tutto fuorché banale, immerso come pochi nel suo tempo e nella sua sciagurata generazione, sciagurata intendo da quanto porta a fatica i suoi cinquant’anni.
Anziché fare il nome di Borgonovo, nella sua recente uscita Massimiliano avesse scritto “un giornalista italiano”, la sua uscita sarebbe stata sacrosanta. Certo che i fattacci personali sono personali e basta. Ma è altrettanto vero che la questione delle doppie e triple identità - il famoso predicar bene e razzolar male - è una questione di gran rilievo nella nostra vita pubblica e in quella culturale. Per quello che mi riguarda l’averne una sola di identità e per 24 ore al giorno è l’unico mio vanto personale, quello per cui ho pagato un prezzo assai alto. E che continuerò a pagare.