VI RACCONTO MIO NONNO, L'AVVOCATO GIANNI AGNELLI - LAPO ELKANN A "OGGI": “TENTÒ CON PERES E ARAFAT DI COSTRUIRE UNA FABBRICA FIAT A GAZA, PENSAVA AVREBBE AIUTATO LA PACE TRA QUEI DUE POPOLI" - L’ULTIMO VIAGGIO A NEW YORK ("CERCAVO DI DISTRARLO. RICORDO CHE GLI PORTAI PERSINO UNA TIGRE BIANCONERA") - "IL SUICIDIO DI ZIO EDOARDO? DOVEVAMO STARGLI PIÙ VICINO. QUANTE PERSONE OGGI SONO USCITE DALLA DIPENDENZA E HANNO RUOLI IMPORTANTI? A EDOARDO QUESTO ALLORA NON FU CONCESSO. IO E TUTTA LA NOSTRA FAMIGLIA AVREMMO DOVUTO FARE DI PIÙ” – LE ULTIME PAROLE DELL’AVVOCATO 

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Estratto dell’intervista a Lapo Elkann di Walter Veltroni per “Oggi”

 

(…)

 

Mi racconta quell’ultimo viaggio con suo nonno?

gianni agnelli lapo e john elkann gianni agnelli lapo e john elkann

«Ero a New York perché allora lavoravo presso l’ufficio di Kissinger. Andavamo spesso insieme a trovarlo. Io cercavo di distrarlo. Ricordo che gli portai persino una tigre bianconera. Quando decise di tornare a Torino, gli dissi che volevo stare con lui, che mi sarei licenziato. Mi rispose che ero un fesso, che avevo un buon lavoro e che dovevo restare in America.

 

A mia volta gli dissi che, se quello era accaduto, era grazie a lui. E che tutto quello che avevo o avevo fatto lo dovevo a lui. Allora ero un ragazzo e lui mi appariva come una specie di supereroe. Se avesse sbagliato lo avrei difeso. Si fa così, quando ci si vuole bene. Si fa così, in una famiglia. Il giorno dei funerali ci accorgemmo che tutte le agenzie di pompe funebri usavano delle Mercedes. Non potevo consentire che mio nonno se ne andasse su ruote tedesche. Allora, merito dei lavoratori di Fiat Auto, fu allestito in fretta e furia un monovolume Ulisse per fargli fare l’ultimo viaggio con un’auto che avesse quelle quattro lettere impresse sul marchio».

 

gianni agnelli lapo elkann gianni agnelli lapo elkann

Ricorda le ultime parole che le disse?

«Le ricordo con emozione: “Tu, tuo fratello e tua sorella dovete stare uniti. Evitate conflitti, evitate litigi. State uniti, vi prego”. E così è stato, come lui Edoardo era il mio zio preferito. Io per primo e tutta la nostra famiglia avremmo dovuto fare di più, stargli più vicino voleva. Tra difficoltà e differenze non abbiamo mai perso affetto e collaborazione. Siamo tre persone diverse per carattere, formazione e talenti, ma siamo uniti. E, per me, questo è un messaggio generale. Si può, si deve convivere rispettando identità e differenze. Il mondo non è fatto per essere abitato da persone uguali, ma da quella meraviglia che è la pluralità di culture, linguaggi, comportamenti, idee, religioni».

 

Che rapporto aveva con la politica? Scalfari una volta lo intervistò, alla metà degli anni Settanta, chiedendogli addirittura se era vero che lui fosse diventato di sinistra.

lapo elkann lapo elkann

«Con la politica aveva un rapporto di rispetto e di distanza. Aveva l’abitudine di dire sempre quello che pensava e non quello che poteva piacere. Il suo obiettivo non era conquistare consenso, ma difendere il ruolo della sua azienda e del suo Paese. Sapeva bene che questi due obiettivi erano compatibili ma non sovrapponibili. E però cercava concordia, non divisione. Non amava i recinti e le discriminazioni. Tentò con Peres e Arafat di costruire una fabbrica Fiat nella Striscia di Gaza, pensava avrebbe aiutato la pace tra quei due popoli».

 

Tu, John e Giovanni Alberto avete fatto esperienze come operai nelle fabbriche del gruppo.

«Da ragazzo ero uno studente un po’ indisciplinato. Non ebbi paura di cambiare. Andai per alcuni mesi in Piaggio alla linea 2, sui tre turni, dove si facevano ammortizzatori e cavalletti. Avevo 18 anni, ora ne ho 45. Sono stato lì due mesi ma ancora oggi saprei ripeterti i movimenti che servivano in linea di montaggio. Il lavoro lì è pesante, ripetitivo, stancante. Averlo visto da vicino, averlo condiviso, ti aiuta a capire quanto sia dura quella condizione umana e professionale. Scioperai persino contro mio cugino Giovanni».

 

(...)

 

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Ti va di parlare di Edoardo? Il suo suicidio, nel 2000, colpì tutti.

«Edoardo era il mio zio preferito, gli ho voluto molto bene. Nei miei confronti aveva un atteggiamento protettivo. Ricordo che da ragazzo volevo una macchina veloce e lui era preoccupato che mi facessi del male. Era un uomo profondo e sensibile, con dei grandi talenti. Aveva studiato religione a Princeton, una scelta molto coraggiosa, pensando alla famiglia di provenienza. Mio zio coltivava mille talenti. Non si è detto a sufficienza quanto lui abbia fatto per creare occasioni di dialogo interreligioso. Era una persona pura. Che conviveva con la sofferenza.

 

john lapo elkann john lapo elkann

Ricordo tanti momenti belli e anche quelli più tragici. Come la sua morte. Edoardo aveva problemi con le sostanze, come li ho avuti io. Nel suo tempo era qualcosa che andava nascosto, una vergogna. Oggi nel mondo anglosassone tante persone di successo non fanno mistero di curarsi dalle diverse forme di dipendenza: droga, alcol, cibo, gioco. Io ho avuto la possibilità di combattere i demoni che avevo dentro e di uscirne fuori. Edoardo non ha potuto, 25 anni fa il disagio non aveva cittadinanza.

 

Era da nascondere. Edoardo ha avuto molte dita puntate contro, molte sentenze emesse a vanvera. Ma quante persone oggi sono uscite dalla dipendenza, hanno ruoli importanti e conducono vite rispettate? A Edoardo questo allora non fu concesso. E penso, è solo una mia opinione, che io per primo e tutta la nostra famiglia avremmo dovuto fare di più, stargli più vicino. Quando è morto, mia nonna ha mostrato tutta la sua forza, la sua capacità di convivere con il dolore. Mio nonno è morto due anni dopo. Non credo sia stato un caso. A Edoardo ho voluto e voglio molto bene e lo considero, ancora oggi, uno dei miei angeli custodi».

 

Passiamo ai due amori dell’avvocato. Cominciamo dalla Ferrari.

john e lapo elkann cobolli gigli foto mezzelani gmt 223 john e lapo elkann cobolli gigli foto mezzelani gmt 223

«Come ho detto, lui salvò il Cavallino rampante evitando fosse venduto agli americani. Poi scelse le persone giuste: Luca di Montezemolo e Jean Todt. Lui stravedeva per le macchine Ferrari. Amava tutte le cose belle della vita. Non basta essere ricchi per apprezzare il bello. Il gusto non si compra. Il suo pilota preferito era quello che vinceva. Credo abbia per questo molto amato Michael Schumacher. Poi gli piaceva Gilles Villeneuve, il suo modo di guidare. E Ayrton Senna, che se non fosse morto in modo così tragico, l’anno dopo sarebbe venuto in Ferrari. Amava il talento e il coraggio e li riconosceva anche negli avversari. Era un vero uomo di sport».

 

Juventus. In una celebre intervista a Enzo Biagi, che gli chiedeva cosa pensasse del fatto che Tommaso Buscetta si fosse dichiarato juventino, Agnelli rispose, dopo un sospiro: «Sarà l’unica cosa di cui non dovrà pentirsi».

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«Per mio nonno la Juve era molto. Era la dimensione ludica della sua vita? Non solo. Lui ha amato Platini, Sivori, Del Piero, Vialli, Zidane e, tra i tecnici, Lippi e Trapattoni. Ma il suo legame di sangue con la maglia bianconera nasce più lontano. La Juventus fu fondata da suo padre, che morì giovane in un incidente con l’idroplano che lo decapitò. Gianni Agnelli apprese la notizia dai megafoni con i quali, allora, gli strilloni gridavano i titoli dei giornali che vendevano. Qui vorrei dire una cosa. Molti pensano che mio nonno si sia solo goduto la vita, che la sua esistenza sia stata una cavalcata trionfale e spensierata. Non è così. Ha fatto la guerra, ha visto morire giovani sua madre e suo padre, ha quasi perso una gamba in un incidente, gli è morto un figlio. Forse il suo amore per la vita nasceva proprio dalla precoce e ripetuta frequentazione con la morte».

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