A VIA SOLFERINO SI PREDICA MALE E SI SCRIVE BENE! – IL “CORRIERE DELLA SERA” HA MESSO IN CROCE BEATRICE VENEZI PER LA SUA SCELTA DI FARSI CHIAMARE “DIRETTORE D’ORCHESTRA” E NON DIRETTRICE. HA TIRATO FUORI GLI ARZIGOGOLI DI UN LINGUISTA E UNA GIORNALISTA L'HA ACCUSATA DI “PATRIARCATO INTROIETTATO” (COS’E’? UNA NUOVA MALATTIA MENTALE PER NON FEMMINISTE?) – MA GUARDATE COSA SCRIVE IL QUOTIDIANO NELLA SUA GERENZA

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1 – DAGONOTA

 

GERENZA CORRIERE DELLA SERA CON VICEDIRETTORE E NON VICEDIRETTRICE GERENZA CORRIERE DELLA SERA CON VICEDIRETTORE E NON VICEDIRETTRICE

Si dice direttore o direttrice? Il “Corriere della Sera” ha messo in croce Beatrice Venezi per la sua scelta di farsi chiamare e di scrivere “direttore d’orchestra”, e non direttrice, come testimonial pubblicitario per il lato b-ioscalin.

 

Ha tirato fuori gli arzigogoli di un linguista e una giornalista ha accusato la Venezi di “patriarcato introiettato” (cos’e’? Una nuova malattia mentale per non femministe?).

 

Ma cosa scrive proprio il “Corriere della Sera” nella sua gerenza? Scrive: “Vicedirettore vicario Barbara Stefanelli” e scrive “Vicedirettore” Fiorenza Sarzanini, tutto al maschile! Come si dice predicare male e scrivere bene in via Solferino?

 

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2 – PERCHÉ BEATRICE VENEZI HA STECCATO A SANREMO. GIUSTO DIRE DIRETTRICE (COME INFERMIERA)

Giuseppe Antonelli per www.corriere.it

 

«Il mestiere ha un nome preciso e nel mio caso è quello di direttore d’orchestra». Così giovedì sera Beatrice Venezi sul palco di Sanremo ha spiegato la sua scelta di voler essere chiamata direttore e non direttrice. Se questo è il principio, un paio di sere fa, Alessia Bonari avrebbe potuto dire ad Amadeus che non voleva essere chiamata infermiera: «Il mio mestiere ha un nome preciso ed è quello d’infermiere».

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Perché infermiera sì e direttrice no? Forse perché è un femminile che non si fa con una a, ma si costruisce con un suffisso diverso? Ovviamente no. Se questo fosse il punto, qualche anno fa – sempre su quello stesso palco – Virginia Raffaele avrebbe potuto chiedere di essere chiamata non imitatrice o attrice, ma attore o imitatore e mai e poi mai presentatrice o conduttrice, ma presentatore o conduttore: «il nome del mio mestiere è quello».

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Volendoci scherzare un po’ su – è bene sdrammatizzare anche le discussioni linguistiche! – si potrebbe evocare persino la quinta edizione del Vocabolario della Crusca (1863), in cui alla voce beatrice si legge: «femminile di beatore».

 

BEATRICE VENEZI AMADEUS BEATRICE VENEZI AMADEUS

La questione, ancora una volta, è culturale: perché la lingua cambia con la cultura e con la mentalità della comunità che la parla e la scrive. E allora – per una vecchia mentalità – ci sarebbero mestieri che si possono declinare al femminile (come l’infermiera o la segretaria) e altri che invece dovrebbero rimanere al maschile.

 

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È per questa mentalità che si fatica ad accettare parole che ormai dovrebbero risultare perfettamente normali, visto che la società è finalmente cambiata: parole come architetta, avvocata, notaia, ingegnera e persino una parola vecchia – se non antica – come direttrice.

 

Non sarà un caso che la parola direttrice esista fin dal Medioevo per indicare una linea, ma si usi solo dalla fine del Settecento per indicare una donna che dirige un gruppo o un istituto. Gruppo o istituto che a lungo poteva essere solo femminile: perché una donna che dirigesse degli uomini non era immaginabile.

 

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Così come, fino a due secoli fa, non era immaginabile una donna laureata o una donna in cattedra: e infatti ci si faceva beffe di parole come dottoressa o professoressa. Agli ultimi decenni del Settecento risalgono anche le prime attestazioni in italiano dell’espressione «direttore d’orchestra», ma bisogna aspettare il 1905 per leggere la notizia di «una donna direttrice d’orchestra nell’attuale stagione lirica al Politeama di Livorno». Comunque, più di un secolo fa.

 

Eppure ancora oggi, in un’edizione del Festival in cui i direttori d’orchestra sono tutti uomini, vediamo salire sul palco una donna che per mestiere dirige l’orchestra e le sentiamo dire che non è una direttrice, ma un direttore. Come se il femminile non fosse ancora contemplato da quel mestiere o come se implicasse una diminuzione del suo prestigio; come se essere una maestra fosse meno o peggio che essere un maestro.

 

3 – BEATRICE VENEZI: «LE LOTTE SONO ALTRE. I NOMI AL FEMMINILE NON RISOLVONO NULLA»

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Estratto dell’articolo di Chiara Maffioletti per www.corriere.it

 

La declinazione al femminile non dovrebbe essere una diminutio. Non è giusto correggere questa percezione?

«Potremmo puntare a un termine neutro. Ma prima mi concentrerei sul farlo diventare un lavoro a cui possano accedere egualmente uomini e donne. Ho lavorato sodo per quello che faccio, conoscendo i pregiudizi e le difficoltà che incontrano le donne: non si risolvono declinando al femminile».

 

Quindi per lei è un non problema?

«È una tematica polemica un po’ sterile, penso anche che per le giovani generazioni. Oltretutto credo che non ci sia niente di più potente che essere chiamata direttore e arrivare donna, con i capelli biondi e un bel vestito. Dimostro il mio valore con il lavoro».

 

Ma una cosa non nega l’altra. Anche la parola «ministra» non era molto usata. Le cose sono cambiate, anche passando per il lessico

«Capisco la posizione di chi dice che dovrei chiamarmi direttrice, secondo me non sposta l’ago bilancia».

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La sua collega Gianna Fratta l’ha criticata per la sua uscita.

«Sì, poi vai sul suo sito e cosa c’è scritto? Direttore d’orchestra. Dimostra quanto sia ideologica la critica».

 

Sono intervenuti molti politici.

«Ho espresso un pensiero già esternato solo che qui è diventato gigante».

 

Il suo è patriarcato introiettato?

«Macchè. Ci si divide su questo anziché concentrarsi perché una donna venga riconosciuta per la sua qualità, azzerando ogni differenza».

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