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CHI ERA STEVE IRWIN
A oltre dieci anni dalla sua scomparsa, la diatriba su Steve Irwin non si è ancora placata. Da un lato, moltissimi appassionati di natura e di animali sono grati per il lavoro di divulgazione portato avanti dal “Crocodile hunter” nei suoi documentari, dall’altro in tanti si domandano se il suo modo di comunicare non fosse invece inopportuno: serpenti velenosi presi dalla tana e tenuti in mano, coccodrilli afferrati e trascinati per la coda, scorpioni e ragni infastiditi, mille altri animali pericolosi disturbati e osservati, forse, sin troppo da vicino.
La diatriba è tuttora aperta anche perché, ispirandosi al documentarista australiano, tanti epigoni hanno cercato di seguire il suo stile avventuroso e forse eccessivamente “a contatto” con la natura selvaggia. C’è anche chi è convinto che Steve Irwin in realtà non facesse niente di male, limitando al minimo lo stress per gli animali grazie alla sua grande esperienza nel maneggiarli e, nel contempo, facendo scoprire a milioni di telespettatori i loro segreti e sensibilizzandoli così sulla loro conservazione.
Steve Irwin, il conservazionista
Ma il punto che più di ogni altro andrebbe approfondito sulla figura del broadcaster australiano è il grande impegno che ha profuso negli anni per la conservazione dell’ambiente naturale del suo paese, e non solo. Irwin è stato promotore di campagne per sensibilizzare il grande pubblico sulle specie in via di estinzione, sull’evitare l’introduzione di specie alloctone, sui temi di sostenibilità e sull’inquinamento degli ambienti naturali.
Anche i tantissimi americani che, ispirati dai documentari di Animal Planet, si avventurarono nella terra dei canguri, proprio da Irwin ricevettero a più riprese un accorato appello affinché il turismo nella natura australiana fosse sostenibile e mai dannoso per l’ambiente. E, non meno importante, l’impegno economico: nel corso degli anni, grazie ai grandi guadagni ottenuti dalle sue produzioni televisive, Steve Irwin e sua moglie Terri acquistarono di tasca propria enormi porzioni di terreno in Australia, negli Stati Uniti, alle isole Fiji e su Vanuatu, con l’unico scopo di crearne dei santuari per le specie presenti.
«L’unico problema della vita selvatica australiana è che non è di mia proprietà», affermò nel 2003 un divertito Irwin in un talk show. Un aspetto che va sicuramente tenuto a mente prima di farsi un’opinione, sia essa positiva o negativa, sul “Crocodile hunter”.
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