30 ANNI DI EROS - NEL 1986 USCIVA ‘9 SETTIMANE ½’, IL CULT CHE HA CONSACRATO IL MITO KIM BASINGER: UNA RAGAZZA BENE CHE SI SCOPRE PUTTANA GIOCANDO CON MIKEY ROURKE - È IL MANIFESTO DELL’EDONISMO DEGLI ANNI ’80, QUANDO SI GODEVA DAVVERO E TUTTO SEMBRAVA POSSIBILE (VIDEO)

«Tutto quello che viene dopo lo spogliarello non interessa più. Perché l’eccitazione negli anni Ottanta diventa più importante della soddisfazione» spiega Alberto Castelvecchi, professore di comunicazione alla Luiss che nel ’95 pubblicò ''Sesso estremo'' del reverendo William Cooper...

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Elena Martelli per Il Venerdì di Repubblica

 

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Quando trent’anni fa, era il 1986, usci 9 settimane 1/2 di Adrian Lyne il New York Times lo qualificò come qualcosa di molto divertente che non faceva ridere per niente. Per questo diventò uno dei guilty pleasure degli anni Ottanta, manifesto dell’erotismo patinato figlio dell’estetica dei videoclip. Ma che fosse un filmazzo poco c’importava perché ci era già bastato lo spogliarello di Kim Basinger davanti a Mickey Rourke per correre a comprare la sottoveste color avorio.

 

Perché Kim, la nuova bomba sexy dell’immaginario erotico maschile, non era Sophia Loren, la squillo esperta che seduce con allegria Marcello Mastroianni con lo streaptease in Ieri, oggi e domani, dimostrando così che la commedia all’italiana aveva fatto scuola anche in materia di erotismo. No, Kim era la ragazza bene che si scopre puttana ballando per il suo uomo You Can Leave Your Hat On di Joe Cocker.

 

 

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«Tutto quello che viene dopo lo spogliarello non interessa più. Perché l’eccitazione negli anni Ottanta diventa più importante della soddisfazione» spiega Alberto Castelvecchi, professore di comunicazione alla Luiss che nel ’95 pubblicò Sesso estremo del reverendo William Cooper. «Lo spogliarello, la frutta. C’è un sacco di estetizzazione in quel film» dice l’antropologo Franco La Cecla.

 

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«Il tema di sottofondo è rendere accettabile al pubblico americano la sessualità come prodotto in un’epoca in cui l’America può ancora permettersi di fare finta di essere il Paese leader dei comportamenti. Libertà assoluta, sesso facile e, sullo sfondo, la New York dove tutto è possibile.

 

Quando, alla fine degli anni Ottanta, l’Aids dilaga arriva il conto. Che coincide con una svolta moralistica, con il ritorno all’affettività». Vien da pensare alla storia clandestina tra Glenn Close e Michael Douglas in Attrazione fatale, sempre di Adrian Lyne e soprattutto al coniglio in pentola come avvertimento.

 

maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi

Più che un film, un monito: attenzione a tradire, uomo, perché la tua amante può diventare la tua stalker. Bisogna tornare al 1972 per scontrarsi con gli effetti di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, che rompe il tabù della sodomia, producendo il più scandaloso cortocircuito tra sesso e famiglia. «Per la prima volta al cinema c’è il sesso vissuto come puro piacere fra due sconosciuti, Marlon Brando e Maria Schneider, che rimangono tali senza dover costruire nulla» spiega La Cecla.

 

maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi

Ma demolire la famiglia e l’affettività ha un prezzo. Infatti lei lo elimina e subentra la parte spietata della faccenda. «La grandezza di Bertolucci sta nel riprendere il tema della pericolosità del desiderio, nel significato tragico che aveva per i greci, ossia una forza straordinaria che ti possiede e che può, proprio perché non ti appartiene ma ti governa, portarti alla rovina» afferma La Cecla. «Nel decennio a cavallo tra la fine dei Sessanta e la fine dei Settanta si è dato un posto normale al desiderio all’interno del sesso. Una desacralizzazione che mirava a far fuori la famiglia. Ora questo messaggio non passa più».

maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi maria schneider con Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi

 

E di pellicole di forte rottura come quella di Bertolucci, non ce ne sono più state, anche se ogni epoca ha avuto il suo film erotico di riferimento. Negli anni Sessanta fu Il laureato di Mike Nichols a farci scoprire la potenza seduttiva di una donna che oggi definiremmo una milf, con Anne Bancroft che strega il giovane Dustin Hoffman rischiando di mandare all’aria l’amore romantico per Catherine Ross, la figlia della signora che gli si offre nella piena maturità. «Ma la milf de Il laureato non è estetizzante come quella di oggi, è piuttosto un Edipo ritardato» dice Castelvecchi.

 

Tom e Monica hanno guardato il film Il Laureato Tom e Monica hanno guardato il film Il Laureato

«Lei inizia lui, ma lui inizia lei a un’autonomia psicologica che la donna di quegli anni stava conquistando con una nuova consapevolezza». L’istituzione famiglia sta per vacillare: non è un caso che il film si chiuda con Dustin Hoffman che strappa dall’altare la sua amata, mandando a monte il matrimonio borghese. In questi ultimi vent’anni quali sono state le immagini iconiche del cinema in fatto di sesso? Una su tutte domina gli anni Novanta: Sharon Stone che accavalla le gambe, lasciando intravedere che non porta le mutandine, durante l’interrogatorio di Basic Instinct.

 

il laureato il laureato

Il malcapitato Michael Douglas questa volta si deve difendere da una scrittrice virago, manipolatrice e probabilmente assassina. Poi alla fine degli anni Novanta, e per tutto il primo decennio dei Duemila, la palla passa alla tv con Sex and the City, un trattato sul sesso, pensato, scritto e interpretato dalle donne che andavano orgogliose dei loro sex toys da borsetta. «La novità erano queste donne single, ricche ed emancipate che, per la prima volta, parlavano di sesso tra loro. Ma alla fine sempre l’amore cercavano» dice La Cecla.

 

Sex And The City Sex And The City

«Non sono convinto che abbia creato una trasformazione dei costumi come invece hanno prodotto le App di appuntamenti che hanno decretato la distruzione dell’idea fisica dell’incontro, funzionale a una società terrorizzata dal corpo e dal desiderio».

 

Argomenti spaventosi come lo è il sesso senza libido, tristissimo, di Shame di Steve McQueen che, sulla dipendenza sessuale del suo protagonista Michael Fassbender, costruisce uno dei ritratti più disperati dell’uomo contemporaneo: bello, infelice e malato.

 

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«Se siamo arrivati a questo punto» dice La Cecla, «è colpa di un certo femminismo che ha trasferito sulle donne il controllo della morale, facendo vincere l’idea della donna sacra, intoccabile». Ha vinto la negoziazione fra le parti, che è anche una conquista, ma non sul piano della libido che governa i rapporti uomo-donna. Siamo al grado zero di Cinquanta sfumature di grigio che al cinema funziona poco anche se è in arrivo il sequel, fra l’altro con Kim Basinger. «Lì la frustata è metaforica» conclude Castelvecchi. «E sposta il sesso a fantasia per massaie annoiate. Non c’entra il corpo c’entra il ruolo. Non passione, ma messa in scena». Per tutto il resto c’è YouPorn.

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