Franco Giubilei per “la Stampa”
Venti giorni fa le carceri italiane venivano scosse dalle rivolte più violente degli ultimi decenni, innescate dallo stop ai colloqui coi familiari deciso per arginare il coronavirus.
Ora i sindacati di polizia penitenziaria lanciano un nuovo allarme, dopo quelli sulla carenza di mascherine e protezioni in dotazione agli agenti, stavolta sul pericolo di contagio all' interno degli istituti: a partire da quello di Parma, dove «un' intera sezione detentiva sarebbe stata sottoposta a quarantena preventiva per la presenza di un detenuto che avrebbe manifestato sintomi para influenzali, verosimilmente riconducibili al Covid-19», denunciano Sappe, Osapp e Sinappe. I sindacati protestano anche perché «da giorni chiediamo inascoltati di sottoporre a tampone tutto il personale che accede in carcere, per la tutela della salute di tutti i lavoratori e degli stessi detenuti».
Solo a Parma, riferiscono le tre organizzazioni, ci sono cinque poliziotti positivi al virus oltre a «un numero assai elevato (si parla di oltre 60) posti in quarantena precauzionale». Un' altra situazione preoccupante, fanno sapere al Sappe, sarebbe a Piacenza, ma è tutto il sistema carcerario italiano a essere sotto osservazione. Ieri è intervenuto sull' argomento anche Papa Francesco, all' Angelus: «Il mio pensiero va a tutte le persone che patiscono la vulnerabilità per essere costrette a vivere in gruppo», «in modo speciale vorrei menzionare le persone nelle carceri». Il Papa fa riferimento al problema del sovraffollamento, con la conseguenza che la pandemia «potrebbe diventare una tragedia».
Finora, stando ai dati del Garante nazionale delle persone private della libertà, la diffusione del coronavirus fra i detenuti sembra limitata: i positivi in tutta Italia sono 15 su poco meno di 58mila reclusi, chi ai domiciliari, chi in cella da solo e chi in ospedale.
A questi vanno aggiunte «diverse centinaia di persone che sono state messe in isolamento sanitario perché sono state a contatto con dei positivi, oppure perché hanno qualche sintomo», spiega Daniela De Robert. Per loro, gli istituti cercano di attrezzarsi allestendo celle o reparti a sé stanti. Nel frattempo, la limitazione ai colloqui che aveva fatto divampare la protesta è scaduta , ma i familiari non si recano nelle carceri per i divieti di spostarsi.
A far abbassare la tensione contribuiscono i 1.500 cellulari donati dalla Tim per far dialogare a distanza i reclusi coi parenti. Se ne aggiungeranno altri 1.600 da parte di Fondazione San Paolo. La diminuzione del numero complessivo dei detenuti, dagli oltre 61mila prima della rivolta ai 58mila attuali, ha allentato il sovraffollamento, osserva Michele Miravalle dell' associazione Antigone, ma serve ben altro per arrivare alla capienza effettiva delle carceri, pari a 50mila posti: «Il provvedimento Cura Italia prevede gli arresti domiciliari per chi ha una pena inferiore ai sei mesi, mentre chi è stato condannato da 6 a 18 mesi può uscire solo coi braccialetti elettronici, che però scarseggiano».