Fausta Chiesa per il “Corriere della Sera”
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Altro che salario minimo, verrebbe da dire. Mentre nell'Ue si decide di dare paghe che permettano di arrivare a fine mese, dall'altra parte dell'Oceano si parla del problema opposto: e cioè di chi guadagna troppo.
A fare notizia sono i maxi-compensi degli amministratori delegati. La differenza di stipendio con i loro dipendenti nel 2021 è schizzata. Secondo uno studio dell'Institute for Policy Studies, il compenso medio di un ceo è di 10,6 milioni, pari a 670 volte quello di un lavoratore che è di 23.968 dollari. Il gap è aumentato rispetto alle 640 volte del 2020.
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Che cosa ne pensino i lavoratori non è difficile immaginarlo, soprattutto in un periodo in cui l'inflazione negli Stati Uniti è arrivata all'8,3%, un livello che ieri il segretario di Stato americano Janet Yellen ha definito «inaccettabile». Ma nella culla del capitalismo cominciano a intravedersi le prime crepe del sistema che premia la meritocrazia e la competenza.
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I segnali sono emersi nelle assemblea annuali delle società quotate in Borsa, alle quali la legge sulla corporate governance impone non solo la trasparenza sugli stipendi e una policy stabilita dal Comitato Remunerazioni, ma anche un voto dei soci, che per quanto non sia vincolante dà comunque l'idea di quello che pensano.
Ebbene, il «pensiero» sta cambiando: a Wall Street cresce il malcontento e tra gli antagonisti compaiono non soltanto piccoli azionisti etici ma anche investitori istituzionali di primissimo piano.
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Il Financial Times ha citato il colosso Vanguard e il fondo sovrano della Norvegia. Le frizioni hanno raggiunto livelli tali che in diversi casi le società hanno deciso di rinviare i voti su queste paghe controverse.
Ft cita i dati della società di consulenza Farient Advisors, secondo cui sull'anno fiscale 2021-2022 le società quotate sull'S&P 500 che hanno ottenuto un appoggio superiore al 90 per cento ai loro piani retributivi è calata al 61% rispetto al 71% dell'anno prima e al 76% di quello ancora precedente, mentre aumenta la quota di società in cui si è vicini alla «rivolta»: le imprese in cui il sostegno è sotto il 90% sono salite dal 25% del 2020-2021 al 36% nell'anno fiscale appena chiuso.
Ft ha precisato che la statistica non include Amazon, che lo scorso maggio ha ottenuto un risicato 56% di sostegno per le gratifiche elargite ai dirigenti, a fronte dell'81% dell'anno precedente e del 97% degli anni ancora prima.
Il caso di Vanguard è citato per il non voto a sostegno del maxi pacchetto retributivo da 247 milioni di dollari all'amministratore delegato di Warner Bros Discovery David Zaslav.
Molti investitori attivisti ostili a queste retribuzioni stellari, consci del fatto che votare contro i piani retributivi non ha alcun effetto restrittivo su paghe e bonus (il meccanismo viene chiamato «say-to-pay»), stanno cercando di alzare la pressione sui componenti dei consigli di amministrazione a loro più vicini affinché intervengano concretamente.
Il quotidiano britannico già a inizio aprile aveva rilevato come il già enorme divario retributivo tra top manager di società e dipendenti negli Usa abbia segnato un balzo anche lo scorso anno.
Tra i casi più eclatanti citati oltre a David Zaslav, anche quelli dell'amministratore delegato di Amazon Andy Jassy che ha un compenso annuale di 212,7 milioni di dollari e del ceo di Intel Pat Gelsinger con 178,6 milioni. Ma secondo «Fortune» il ceo più pagato è Peter Kern: 296 milioni.