Andrea Marinelli e Guido Olimpio per www.corriere.it
esplosione in un deposito di petrolio a bryasnk, in russia 1
È un fronte «fantasma», fatto di esplosioni, incidenti, possibili raid e sabotaggi: eventi avvenuti sul territorio russo vicino al confine con l’Ucraina. Qualcosa di simile a quanto visto in Iran, teatro da tempo di episodi attribuiti alla casualità o a un’aggressione, a seconda dei momenti.
Ripartiamo dalla fine: un doppio rogo, esteso, ha riguardato le cisterne di Bryansk, cittadina russa a metà strada circa fra Mosca e Kiev.
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Video registrati dalle telecamere di sorveglianza mostrano il momento della deflagrazione, sembra nella parte bassa di uno dei grandi serbatoi a cupola. Insieme alle immagini, arrivano le ipotesi: da un guasto tecnico ad un attacco portato con missili, dalla mano di hacker all’incursione dal cielo. Anche perché, qualche ora, dopo i russi hanno annunciato di aver intercettato un paio di droni a Borovskoye, nella regione di Kursk, a 250 chilometri da Bryansk.
elicotteri ucraini attaccano deposito di carburante a belgorod 14
I precedenti
Non è il primo incidente. Il 30 marzo esplode un’installazione militare a Belgorod, in Russia, a una cinquantina di chilometri dal confine ucraino: secondo la Difesa di Mosca la deflagrazione — che ha coinvolto un deposito di missili — sarebbe stata causata da un attacco notturno degli ucraini, mentre qualcuno sosteneva che si trattasse di un incidente avvenuto durante il trasporto di munizioni.
nave russa distrutta nel porto di berdyansk 1
Passano pochi giorni e il 1° aprile Mosca denuncia un nuovo attacco avvenuto sempre a Belgorod, contro un deposito petrolifero: Kiev non rivendica il blitz, anzi smentisce, ma i russi ritengono che a sferrare il colpo siano stati due elicotteri ucraini che hanno volato all’alba a bassa quota in territorio nemico senza essere intercettati. Il 14 aprile c’è un terzo attacco denunciato dai russi nella regione: due elicotteri — sostengono a Mosca — avrebbero colpito almeno sei edifici a Klimovo, pur senza causare vittime civili. Ancora una volta, non c’è nessun commento da parte ucraina.
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Il 24 marzo c’era stata poi un’esplosione nel porto di Berdyansk, a 70 chilometri da Mariupol, che ha distrutto la nave da sbarco Saratov e danneggiato la Caesar Kunikov e la Novocherkassk. Il 14 aprile, invece, c’è l’ormai celebre affondamento della Moskva, colpita in acque territoriali ucraine da due missili Neptune. Una settimana dopo, il 21 aprile, scoppia un incendio a Tver, a 160 chilometri da Mosca, in un laboratorio che sviluppa missili: si parla di cause accidentali, con un bilancio di 17 vittime e 8 dispersi.
E poi ci sono i sabotaggi alle ferrovie in Bielorussia, usate da Mosca per il trasporto di mezzi e truppe, e — ma qui si tratta di accuse inverificabili —un piano per l’uccisione del giornalista Vladimir Solovyev, molto vicino al Cremlino, sventato dall’intelligence russa. L’ultimo colpo sono le esplosioni registrate il 25 aprile in Transnistria, la regione separatista e filorussa della Moldova, al confine con l’Ucraina, che Mosca ha dichiarato di voler unire alla Crimea: la notizia è stata riportata dall’agenzia di Stato russa Tass, ma proprio pochi giorni fa un rapporto dell’istituto britannico Rusi sosteneva che Kiev teme azioni destabilizzanti sull’asse Moldavia-Transnistria, con provocazioni da parte dell’Fsb russo, anche se il piano sarebbe ancora oggetto di valutazione a Mosca.
Le opzioni
È un duello — reale e virtuale — con interpretazioni multiple. Gli ucraini possono dimostrare di poter colpire oltre frontiera, rispondono in profondità alle azioni del nemico: creano così un bilanciamento nella prova di forza. Se gli conviene rivendicano, altrimenti lasciano aleggiare il dubbio. È la stessa tattica usata dal Mossad contro i siti strategici iraniani.
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Al tempo stesso possono far credere di essere stato la causa del disastro anche se le fiamme sono partite per un cortocircuito, per colpa di operaio, per la manutenzione insufficiente. Il messaggio è quello di sottolineare non solo l’abilità bellica, con missioni speciali, ma anche le falle nella sicurezza di una super potenza che non riesce a difendere la sua terra. Gli uomini di Zelensky, poi, devono in alcuni casi proteggere i propri sistemi, le tattiche e gli eventuali varchi usati. Insieme a questo seminano dubbi nel fortino nemico — attacco o destino contrario? — e magari sperano nell’emulazione di chi è stanco del regime.
Mosca, a sua volta, ha diverse opzioni. Può denunciare l’aggressione della resistenza per attuare rappresaglie o mosse ancora più dure. Pochi giorni fa ha minacciato ritorsioni pesanti dopo che l’avversario non aveva escluso di prendere di mira il ponte sullo stretto di Kerch che collega la Crimea alla madre patria, costruito dopo l’annessione del 2014. Porta così avanti la narrazione della vittima, a fini interni e per giustificare agli occhi di un’opinione la necessità di mandare i soldati a morire. All’opposto, se vuole negare il successo, attribuisce la tragedia al Fato, al motore ingrippato: l’affondamento dell’incrociatore Moskva ne è la rappresentazione. Per Kiev sono stati i suoi Neptune a centrare l’ammiraglia mentre i russi hanno continuato a sostenere la tesi dell’avaria catastrofica.
È un gioco sul filo: gli atti reali si miscelano con la propaganda. Se la serie prosegue, e non importa quali siano le ragioni, anche il patriota più convinto si farà delle domande, e chiederà — come i familiari dei marinai dispersi — delle risposte. Vladimir Putin, però, ha il potere di non darle.
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