BOLLORI D'AUTUNNO! LORENZO VIOTTI, IL 31ENNE DIRETTORE D’ORCHESTRA, OSPITE DI “OGGI È UN ALTRO GIORNO”, RISVEGLIA GLI ORMONI DI SERENA BORTONE – LA GIORNALISTA HA FLIRTATO IN TV CON IL BONAZZO CHE, OLTRE A SAPER MANEGGIARE LA BACCHETTA, SU INSTAGRAM MOSTRA UN FISICO STATUARIO – MA L’INTERVISTA NON SI È CONCLUSA IN VIA TEULADA: I DUE SONO STATI AVVISTATI A CENA SABATO SERA DOPO CHE L’AITANTE NUOVA STELLA DELL'OPERA AVEVA CHIESTO ALLA GIORNALISTA DI MOSTRARGLI “LA NOTTE ROMANA” CHE SI E' CONCLUSA ATTOVAGLIATI NEL RISTORANTE DELL'ALBERGO RHINOCEROS DI ALDA FENDI... - VIDEO

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LORENZO VIOTTI A ROMA

DAGONOTA

serena bortone intervista lorenzo viotti serena bortone intervista lorenzo viotti

 

Ci voleva Lorenzo Viotti, 31enne direttore d’orchestra, per far aumentare la temperatura nello studio di “Oggi è un altro giorno” e risvegliare gli ormoni di Serena Bortone. La sua presenza in studio ha fatto schizzare gli ascolti della trasmissione sopra il 15%, ha scatenato migliaia di twittarole arrapate, e ha alimentato i bollori della presentatrice che ha flirtato in diretta con l’aitante direttore.  “Dovresti provare a saltare da un aereo con il paracadute” le ha proposto Viotti con voce suadente. E lei non ci ha pensato due volte: “Magari insieme”.

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Ma l’intervista non si è conclusa in studio a via Teulada. La Bortone è stata avvistata con Viotti a cena sabato sera da Entr'acte. Lui le aveva chiesto di fargli “conoscere la notte romana” e la giornalista, dopo essersi sciolta in studio, non ha esitato a lanciarsi in una bollente serata con il bonazzo che su Instagram mostra un fisico scolpito. I due hanno lasciato il ristorante insieme. Come avranno proseguito il tour della città? Ah, non saperlo…  

 

“METTO IL RITMO NELLA CLASSICA”

Valerio Cappelli per il “Corriere delle Sera”

Una volta si diceva: un concerto da non perdere. Ma la sostanza è questa. Lorenzo Viotti giovedì ha fatto il suo esordio con l'Orchestra di Santa Cecilia. Svizzero, 31 anni, nel 2015 ha vinto il premio per giovani direttori al Festival di Salisburgo. Sul podio ha una maturità inconsueta per la sua età, e quando parla è coraggioso (l'ipocrisia dell'ambiente) e spiazzante (l'importanza di batteria rock e percussioni classiche, considerate Cenerentole).

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Dirige l'ouverture del Fledermaus di Johann Strauss, la suite del Rosenkavalier di Richard Strauss, il Concerto per violino di Ciaikovskij (solista Giuseppe Gibboni, vincitore del premio Paganini, che sostituisce Veronika Eberle) e La Valse di Ravel.

 

I due Strauss erano capisaldi del ristretto repertorio del grande Carlos Kleiber.

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«Devo essere onesto, non ho pensato a lui. L'idea era di costruire un programma con un'idea drammatica sulla gloria viennese, con un compositore dimenticato che amo, Korngold, purtroppo abbiamo dovuto sostituire il suo Concerto con quello di Ciaikovskij. Ho comunque pensato alla gloria viennese di fine '800 e l'ho unita a La Valse , che è l'Anticristo di quella gloria, le idee di Ravel rappresentano la fine di quel sogno. Faremo un viaggio con tanti colori».

 

Col Covid è diverso costruire un concerto sinfonico?

«Le sale sono tornate al 100 percento della capienza ma dobbiamo riempirle. Mi è successo pochi giorni fa ad Amsterdam, tutto esaurito con molti giovani. Ma al Gewandhaus di Lipsia è andata diversamente, e con un'età media molto alta. L'atmosfera era terribile. Troppe istituzioni non fanno niente per le nuove generazioni».

 

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Restano i timori?

«Io sono stato malato per alcuni giorni. Ho il doppio vaccino. Ero a Lisbona, un tassista ha sentito che avevo la tosse e mi ha detto che dovevo andare all'ospedale, mi ha fatto scendere. La colpa è dell'allarmismo creato dai media: non è possibile essere un po' malati senza la paura di trasmettere il Covid».

 

Lei ad Amsterdam ha due incarichi: cosa fa per cambiare le cose?

«Sono direttore musicale della Dutch National Opera e della Netherlands Philharmonic Orchestra dove, prima dei concerti, parlo al pubblico per pochi minuti del programma. Spero di poterlo fare anche a Roma. È sufficiente per creare un'atmosfera diversa. Se Mahler ad Amsterdam è un must, non do mai per scontato che tutti conoscano la sua Quinta Sinfonia. Sono piccoli gesti che fanno la differenza. Le prove sono aperte al pubblico. A gennaio anticiperò in Cattedrale la serata con i Quattro pezzi sacri di Verdi e Morte e trasfigurazione di Schoenberg, invitando altre fedi, le comunità del rabbino e dell'imam. La gente si sistemerà dove vuole, resterà in piedi, sul pavimento...».

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La funzione di un direttore sta cambiando?

«La responsabilità di un direttore non è solo di fare un bel concerto. La qualità è importante, ma bisogna dare energia al pubblico. Se continuiamo così, col nostro bel frac, con gli stessi programmi, tra dieci anni la nostra arte sarà morta». Ha cominciato con la batteria e il jazz, poi è stato percussionista con i Wiener Philharmoniker. «La batteria mi ha fatto capire l'importanza della libertà. Nella musica classica manca il timing , che non è il ritmo scritto ma come suoni quel ritmo; si pensa prima alla melodia, poi all'armonia. Il ritmo viene alla fine. Tanti direttori non guardano mai l'ultima linea dell'orchestra: soltanto gli archi. Psicologicamente ha un impatto enorme. I suoni devono venire dal fondo».

 

C'è rivalità tra voi giovani direttori?

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«La rivalità è sana. C'è ipocrisia ai concorsi, i falsi complimenti... Quello che mi ha aiutato sono le arti marziali: sono sport della testa, mentali. La calma interiore è un'ottima medicina per la musica».

 

Lei è figlio di Marcello Viotti, che nel 2005 a Salisburgo avrebbe dovuto dirigere «La Traviata» che lanciò Anna Netrebko.

«Sono diventato uomo a 14 anni, quando è mancato. Oggi sono orgoglioso di essere suo figlio. È stato difficile, verso i 20 anni mi sentivo perso. Dopo la morte di mio nonno ho trovato la mia libertà. Andai al cimitero, lui e mio padre riposano l'uno accanto all'altro. Non andavano troppo d'accordo. Sono di nuovo uniti. Ero andato a trovarli e sulle loro tombe ho detto: ora devo continuare da solo. Papà era appassionato della vita prima che del podio. La famiglia era la priorità, lo stesso vale per me. Era una generazione diversa, il titolo era importante. Per me, maestro Viotti o Lorenzo Viotti è lo stesso. Ho passaporto svizzero e francese ma sono parigino allo zero percento. Mia nonna paterna era italiana. Per la bellezza e l'amore della vita mi sento al cento per cento del vostro paese».

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