Gaetano Mazzuca per “la Stampa”
La sera del 14 febbraio poco dopo che il giudice di Catanzaro gli aveva inflitto 30 anni di carcere Vincenzo Torcasio, conosciuto come "u Giappone", festeggiava San Valentino con la sua compagna in un ristorante. Un giorno da ricordare, con tanto di selfie e commento: «Noi non ci disperiamo festeggiamo lo stesso San Valentino a base di pesce». Tutto rigorosamente on line, a disposizione di migliaia di fan pronti a commentare con il pollice in su.
Ben mille lo seguono sulla sua pagina personale e addirittura in più di 19mila leggono i post di "Onore e dignità" pagina gestita proprio da Torcasio. Da star del web ha voluto "regalare" un nuovo colpo di scena. Ieri mattina sarebbe dovuto tornare in cella ma è scomparso, irreperibile. L' ultima traccia naturalmente è su Facebook, solo poche ore prima che gli agenti della Squadra mobile bussassero alla sua porta, "U Giappone" si congedava così: «I carceri a 41 bis sono stati paragonati da Papa Francesco a forme di tortura».
Da ieri mattina gli investigatori gli danno la caccia. Per i magistrati della Dda di Catanzaro "u Giappone" è affiliato ai clan di Lamezia Terme, «partecipe dell' associazione, con consapevolezza di scopo e di vincoli, avendo avuto anche il ruolo di cosiddetto "specchietto" nell'omicidio di Antonio Torcasio».
Un agguato importante non solo per l' obiettivo dei sicari, all' epoca reggente della cosca Torcasio, ma anche perché avvenne, il 23 maggio del 2003, davanti al commissariato di Lamezia. L' unico momento in cui la vittima lasciava la sua casa perché sottoposto all' obbligo di firma davanti alla polizia giudiziaria.
U Giappone è finito in galera dodici anni dopo nel maggio 2015 nell' ambito dell'operazione Andromeda che ha portato all' arresto di 35 affiliati al clan di Lamezia Terme Iannazzo e Cannizzaro-Da Ponte accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, omicidio, ricettazione, detenzione illegale di armi. Pochi mesi dopo il Riesame ha accolto l'istanza dei suoi difensori e Vincenzo Torcasio è tornato libero.
Dalle aule del Tribunale la sua battaglia contro la giustizia italiana si è spostata sui social. Centinaia di post per mostrare al mondo il suo personalissimo "vangelo" dove convivono Raffaele Cutolo e Paulo Coelho. C' è un tema ricorrente: l' omertà. «È inutile che voi l' interrogate l' uomo d' onore si tiene le ferite le sue parole non ve le comprate non appartiene alla razza dei pentiti".
E ancora più chiaro: "Parrati parrati intra i carceri, intra i machini, intra i casi, faciti arristari a tutti sulu cu li chiacchieri ca vi inventati siti mpami legalizzati, e si ancunu vi difendi su ciu' mpami i vua. Quantu poveri innocenti mandati in galera». Non mancano messaggi ancor più inquietanti: «armi e danaro vogliono buone mani» e soprattutto «non mi vedrai mai strisciare Stai attento invece ai passi che fai». Un fiume in piena che si è fermato improvvisamente martedì notte.
Dopo la sentenza di condanna a 30 anni di carcere, la Dda di Catanzaro ha chiesto e ottenuto il ripristino della misura cautelare per Vincenzo Torcasio e altri 13 affiliati al clan. Ieri mattina è scattato il blitz ma Vincenzo Torcasio, così come Santo Iannazzo, non c' era più. La pagina resta ancora online, nonostante da giorni il testimone di giustizia Rocco Mangiardi, il primo imprenditore a spezzare la cappa di omertà a Lamezia, abbia sollevato il caso chiedendo che quel profilo venga oscurato per sempre.