Sara Gandolfi per il “Corriere della Sera”
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Brasilia, la città ideale sognata e realizzata a tempo di record da Oscar Niemeyer negli anni Sessanta è ancora più rarefatta e lunare del solito in questi giorni post rivolta. Davanti al quartier generale dell’esercito, dove per sessanta giorni si sono ammassate le «truppe bolsonariste» in attesa dell’attacco al potere, sono rimasti solo i resti dell’assedio: cumuli di tende e sedioline di plastica, mucchi di spazzatura, scheletri legnosi di palchi artigianali. Giovani soldati svogliatamente ripuliscono la piazza dei Cristalli che alla gente di qui non è mai sembrata tanto fragile. I ribelli invece sono spariti.
Oltre 1.200 sono stati arrestati per atti vandalici, gli altri (sì, erano molti di più) sono svaniti nel nulla, così come erano arrivati, richiamati dal tamtam di Whatsapp, Telegram, TikTok, Twitter e via dicendo. Le reti social, alla fine, si sono però rivelate una trappola. Attraverso i filmati postati dagli aspiranti «golpisti» che domenica hanno invaso Congresso, palazzo presidenziale e Tribunale supremo, gli inquirenti sono riusciti a identificarne centinaia. Nella lista figurano membri delle forze dell’ordine, diversi politici di destra, il nipote dell’ex presidente Jair Bolsonaro, una guardia municipale che si firma “Joelson Bolsolavista”, una influencer con milioni di follower, già censurata dalle autorità, e perfino un ex concorrente del Grande Fratello.
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Macchiette radicali? Forse, ma ben foraggiate. Oltre 100 imprese private, contro cui è stato chiesto il blocco dei beni, sono sospettate di aver finanziato gli estremisti: avrebbero pagato decine di autobus che nei giorni scorsi hanno trasportato i «bolsonaristi» da diversi località del Brasile fino al cuore della capitale.
Ieri il vice procuratore generale Lucas Furtado ha chiesto il blocco dei conti bancari anche dell’ex presidente Bolsonaro e del governatore del Distretto federale, Ibaneis Rocha mentre il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, ha ordinato l’arresto sia dell’ex segretario alla sicurezza del Distretto federale (Df), Anderson Torres, già ministro della Giustizia di Bolsonaro, che ha raggiunto gli Usa, sia dell’ex comandante della Polizia militare del Df, che avrebbero dovuto garantire l’ordine nella capitale e ora sono sospettati di connivenza con gli assaltatori.
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Otto chilometri di ampi viali a più corsie, circondati da grandi aiuole verdi, separano la piazza dei Cristalli dalla piazza dei Tre poteri. I manifestanti li hanno percorsi a piedi, senza che nessuno tentasse davvero di fermarli, fino all’occupazione del Potere. Da lunedì, l’ultimo tratto dell’Eixo Monumental, la lunga avenida che taglia il cuore di Brasilia, è sbarrato a qualsiasi tipo di auto, che non siano quelle blu degli alti funzionari. Gli impiegati dei ministeri, invece, arrancano a piedi per raggiungere gli uffici. «È assurdo che a farne le spese siamo noi lavoratori, mentre i politici se ne stanno lì trincerati», si lamenta Joao (nome di fantasia, «perché non voglio ritorsioni»). «La verità è che quei vandali non li hanno voluti fermare, forse non li riuscirebbe più a fermare neppure Bolsonaro».
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A difendere a spada tratta l’ex presidente ci ha pensato ieri in Senato il figlio primogenito Flavio, denunciando una «narrativa bugiarda» che tenta di collegare «atti tristi e deplorevoli» al padre, che «ha sempre agito nell’ambito della Costituzione e ora si sta leccando le ferite in America». Durissimo contro Lula l’intervento in aula dell’ex vicepresidente della Repubblica e attuale senatore Hamilton Mourão: «La detenzione indiscriminata di oltre 1.200 persone, attualmente rinchiuse in condizioni precarie presso le strutture della Polizia federale di Brasilia, dimostra che il nuovo governo, coerente con le sue radici marxiste-leniniste, agisce in modo dilettantesco, disumano e illegale», ha detto.
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Negli uffici presidenziali di Planalto, nelle stesse ore, la neo first lady «Janja» da Silva (amatissima dal marito Lula quanto odiata dai «bolsonaristi») riceveva a palazzo la ministra della Cultura «per discutere del recupero dei beni distrutti negli atti terroristici». Si stimano milioni di danni, tra computer e mobili distrutti e opere d’arte vandalizzate. Il commento più amaro è del pronipote di Oscar Niemayer, l’architetto Paulo: «Chi distrugge la propria casa? È una totale assurdità».
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