Andrea Galli e Gianni Santucci da milano.corriere.it
Nel pomeriggio di sabato scorso, il sindaco di Mediglia Paolo Bianchi legge un comunicato della casa di riposo «Borromea». Il Covid-19 è entrato in quella costruzione di mattoni rossi prima che l’epidemia deflagrasse a Codogno. «La struttura è isolata dal 23 febbraio - spiega Bianchi, scorrendo il comunicato della direzione sanitaria -, quando quattro casi “positivi” sono stati accertati in pronto soccorso». Da allora sono stati fatti tamponi. Molti tamponi. Esito, ancora «positivo».
Hanno iniziato ad ammalarsi medici, infermieri, operatori, e anziani. Si sono scambiati il virus. Hanno provato ad arginarlo. Il contagio è dilagato. Il punto di rottura è arrivato quando s’è posto il problema di come gestire le salme. I parenti non potevano entrare. Assediavano la struttura e il Comune per avere informazioni. «Ci sono stati diversi decessi» ha comunicato il sindaco. Il Corriere puoi rivelare quanti: 25 anziani morti in 23 giorni.
«Ha la febbre»
Mediglia dista poco più di 15 chilometri da Milano; la casa di riposo è un cimitero. L’isolamento, la malattia che avanza, le morti che si susseguono. Sembra Cassandra crossing , il film del 1976, il treno degli infettati da un virus sconosciuto che viene blindato e destinato all’estinzione. Quelle delle case di riposo per anziani sono le storie finora meno raccontate della Lombardia in epoca di Covid-19. È successo a Mediglia, può succedere a Milano, forse sta già iniziando ad accadere. Domenica, il figlio di una donna ricoverata alla «Casa famiglia» di Affori è riuscito a parlare al telefono con un infermiere. Anche quella Rsa, Residenza sanitaria per anziani, è isolata. L’infermiere al telefono aveva il fiatone.
Ha detto: «Sua madre ha febbre alta e tosse. Può succedere di tutto, da un momento all’altro». Tre differenti altri familiari rintracciati dal Corriere ripetono l’identico scenario: anziani genitori con febbre e tosse, qualche operatore ammalato. Il contagio del contagio.
I sindacati degli operatori delle Rsa e del Pio albergo Trivulzio stanno inviando lettere drammatiche e furiose in Regione e all’Ats. «Non abbiamo mascherine. Non abbiamo protezioni. Nel nostro lavoro, per la cura di anziani non autosufficienti è impossibile rispettare le distanze. I contatti sono diretti e continui. Se entra il virus, sarà il disastro. L’arrivo nelle Rsa dei pazienti Covid-19 in convalescenza per liberare posti negli ospedali è un rischio che ci mette in estremo allarme».
«Sta degenerando»
Nella Rsa comunale e accreditata «Virgilio Ferrari», al Corvetto, l’intero sesto piano è in quarantena. Ci sono stati quattro decessi in ospedale, di pazienti molto anziani. Il direttore sanitario è in malattia da 10 giorni. «Se non si blocca il contagio subito, le case di riposo verranno decimate», racconta un medico.
Dall’interno arrivano queste voci (e nessuno, consapevole della generale emergenza, critica un servizio sanitario sotto estrema e inedita pressione, ma descrive un dramma umano di proporzioni incalcolabili pur di fronte a una resistenza «eroica»): «La situazione nella residenza sta degenerando, i pazienti sono isolati da due settimane, ma le infezioni continuano a salire con almeno 10 casi confermati da tampone nasofaringeo in ospedale e un gran numero di pazienti che non sono potuti arrivare a fare il tampone in ospedale, ma hanno sintomi di Civid-19 con febbre e necessità di ossigeno».
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Camici, mascherine e protezioni hanno iniziato a scarseggiare da inizio mese. Se il coronavirus entra nelle case di riposo, gli operatori si ammalano; gli infermieri che restano al lavoro devono curare un numero maggiore di pazienti; lo fanno senza le protezioni necessarie, senza potersi cambiare tra un intervento e l’altro. Ecco perché la malattia può dilagare.
Altro racconto dalla «Virgilio Ferrari», stavolta della figlia di un’ospite: «Mia madre morirà sola, senza il minimo supporto; la maggior parte degli operatori è già malato oppure rimane a lavorare in modo eroico, ma nel contesto agghiacciante di totale carenza di personale».
Le cicatrici
Di fronte a questa catena di drammi, un medico riflette sui segni che il Covid-19 nelle Rsa potrebbe lasciare su chi rimarrà in vita: «I danni psicologici per gli operatori sanitari, come quelli che lavorano a Mediglia, saranno indelebili e devastanti, perché avranno visto morire senza poter fare nulla decine di anziani che magari avevano curato per anni. E poi ci sono le famiglie, costrette a restare distanti, senza notizie, senza informazioni. Un certo giorno, queste figlie e questi figli verranno avvertiti della morte di un proprio caro. E tutto finirà lì».
Tra i casi da monitorare, la «Sant’Erasmo» a Legnano. Quattro i decessi negli ultimi giorni, s’ignora se correlati al virus.
Però ci sono alcuni dati oggettivi. Non s’era mai verificato un picco di morti in uno spazio temporale così ridotto; un anziano positivo è stato trasportato via in ambulanza ma poi riportato indietro, forse perché non è stato trovato un posto letto; infine, già due donne del personale sono state contagiate. La direzione ha rimodulato gli spazi, per isolare quell’anziano e trasferire gli altri. Ma manca tutto.
A cominciare dalle mascherine. Un’azienda di Busto Arsizio ha completato la riconversione e potrebbe provvedere. Nell’attesa, si vive alla giornata. Anzi, all’ora. Il rischio di nuove Mediglia è concreto. Da mercoledì, il sacerdote che entrava per dir messa non ha più potuto accedere alla casa di riposo, dove era terminato lo spazio per le bare; come raccontano le ditte di onoranze funebri della zona, ai famigliari è stato «ordinato» di scegliere la cremazione, poi eseguita di corsa. In rapida serie.