Marco Bonarrigo per il “Corriere della Sera”
Inutile cercarli in Rete: sono scomparsi dal web come quei dignitari cinesi e russi caduti in disgrazia e rimossi dalla memoria della patria. I ritrattini e le biografie di Marius Kisperem, Philemon Kacheran e Justus Kimutai sono stati da poco «sbianchettati» dal sito ineos159challenge.com in cui comparivano tra gli «angeli-pacemaker», le «lepri», che il 12 ottobre 2019 a Vienna aiutarono Eliud Kipchoge ad abbattere il muro delle due ore in maratona, una delle operazioni di marketing sportivo più riuscite di sempre.
Un quarto, Alex Korio, era già stato sanzionato. Le colpe dei quattro keniani non sono politiche ma farmacologiche: eritropoietina (per Marius), testosterone (per Philemon) e fuga dai test antidoping per Justus e Alex. Il divino Kipchoge (che con i tre casi e il doping non c'entra nulla) non ha commentato, Ineos nemmeno, ma per l'Athletics Integrity Unit (Aiu) che esegue i controlli nell'atletica i quattro casi sono solo la punta di un iceberg.
Dallo scorso 1° gennaio sono 23 (record) i keniani sospesi per doping mentre 56 loro connazionali, 12 etiopi e altri 60 atleti di Nigeria, Marocco, Etiopia e ulteriori dieci nazioni africane stanno scontando una squalifica. Dietro prestazioni pazzesche non ci sono solo le famose scarpe col tacco ma c'è anche un doping impressionante.
I numeri dell'egemonia sono noti: ci sono soltanto sei non africani tra i cento più veloci maratoneti di sempre e solo due (su 70) tra quelli che negli ultimi dieci anni hanno trionfato nelle grandi maratone olimpiche e mondiali, sfuggendo al dominio africano.
Il nuovo mix di farmaci di fondisti e maratoneti associa a prodotti classici (le vecchia Epo, il testosterone e i suoi fratelli), le trasfusioni di sangue, il futuribile acceleratore metabolico GW501516, l'antischemico trimetazidina molto caro ai ciclisti, l'ostarina, il meldonio lanciato dalla Sharapova, il letrozolo di tennistica memoria, il gettonatissimo triamcinolone, un glucocorticoide che ha prodotto dieci casi in pochi mesi come quelli di Diana Kipyokei, vincitrice a Boston nel 2021, e di Betty Wilson Lempus, trionfatrice all'ultima mezza maratona di Parigi.
I cacciatori di dopati a volte pescano in maniera mirata, altre a strascico. Nei casi di positività a sostanze «ospedaliere» come l'Epo, abbondano finti ricoveri e finte trasfusioni, come per l'etiope Etaferahu Wodaj, squalificato per dodici anni.
I test a sorpresa per costruire il passaporto biologico che ha incastrato il marocchino Aziz Lahbabi richiedono pedinamenti continui e i tantissimi «mancati controlli» hanno risvolti quasi comici: indirizzi inesistenti, fughe dalle finestre di casa. Per incastrare Mathew Kipkoech Kisorio, uno dei migliori al mondo nella mezza maratona, gli ispettori di Aiu sono piombati quattro volte in dieci mesi a casa e dove il keniano diceva di allenarsi ma lui era sempre altrove.
Ci sono poi casi grotteschi: squalificato nel 2017 per doping, il keniano Hillary Kiprotich ha corso recentemente alcune maratone internazionali sotto l'identità (femminile) di Shieys Chepkosgei. Smascherato, si è discolpato presentando alla Corte penale di Eldoret un finto certificato di parto. Alla squalifica (raddoppiata) si è aggiunta una condanna penale.
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