Estratto dell’articolo di Giuseppe Scarpa per “La Repubblica – Edizione Roma”
«Erano le cinque del mattino, mia madre si è alzata, è andata in cucina a preparare il caffè, io ero in dormiveglia, ho sentito che stava là, le ho dato il buongiorno. Ho visto che c’era il coltello e sono partito. Non c’è un motivo per cui l’ho fatto quel giorno. Ho visto il coltello sul bordo del lavabo, lei si è voltata per fare il caffè e io, da dietro, l’ho colpita tre volte, sul lato destro.
Lei si è accasciata, aveva gli occhi aperti ed io glieli ho chiusi. Poi sono rimasto lì per un attimo, non sapevo cosa fare, ho cercato di dare una pulita, ho preso i sacchi e utilizzando un tappeto come base l’ho messa dentro un armadio nella sua camera. I giorni trascorsi dopo il fatto sono stati difficili».
Il racconto da film horror è di Massimo Barberio, 61 anni. L’uomo in un interrogatorio fiume il 30 settembre ha raccontato — ai carabinieri della stazione di Montespaccato, della compagnia Trastevere, al pm Maria Gabriella Fazi e al suo avvocato Giancarlo Rizzo — come undici giorni prima ha ucciso la madre di 88 anni in un appartamento a Primavalle.
[…] Ma perché l’ha uccisa? gli domandano i carabinieri. «Percepiva una pensione di 700 euro e avevamo accumulato un debito da 2.000 euro. Cercavo di sistemare la situazione economica ma era diventata insostenibile e difficilmente risolvibile. Quindi l’ho uccisa perché lei non sapeva nulla e non volevo che lo sapesse». […]
Il femminicidio, ha proseguito Barberio, «è avvenuto il 19 settembre, in cucina, poi l’ho messa in due sacchi neri, l’ho portata nella sua camera da letto e l’ho messa nell’armadio. L’ho adagiata su un tappeto. Dopo due, tre giorni sono cominciati gli odori e quindi, poi ho messo prima la plastica bianca, quella che si usa per riparare. Ho sigillato sia l’armadio che la porta della camera, ho messo tre strati, prima la plastica bianca e poi quella nera, sia sulla porta che sull’armadio, poi ho utilizzato anche del cemento. Il materiale utilizzato l’avevo a casa».
Barberio durante l’interrogatorio piange. Poi prosegue il suo racconto di fronte al pm Fazi. «Non so manco io perché ho compiuto questo gesto. Ripeto, non so manco io perché l’ho fatto, sono consapevole di non aver risolto nulla. In questi giorni, mi alzavo, uscivo, poi rientravo, ma ad un certo punto ho pensato che non avesse senso tenerla rinchiusa lì. Allora ho deciso di chiamare i carabinieri per farla finita, non aveva senso proseguire». […]