Luca Fazzo per “il Giornale”
Nella sua cella del reparto di massima sicurezza del carcere di Parma, Raffaele Cutolo ieri ha passato un' altra giornata di attesa. La decisione del giudice di sorveglianza di Reggio Emilia sulla sua istanza di scarcerazione arriverà forse oggi, forse domani. Un ritardo che è poca cosa, per un uomo che ormai dietro le sbarre ha passato quasi sedicimila giorni.
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Ma intanto il caso di don Raffele si è ingigantito a dismisura, al punto di lanciare le sue ombre persino sul governo, e in particolare sul ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Perché il rischio che Cutolo, con i suoi crimini e i suoi segreti, possa uscire di galera è divenuto il simbolo dell' impreparazione con cui le carceri italiane hanno affrontato la catastrofe del coronavirus.
«Non ne sappiamo nulla neanche noi»: così ieri dagli uffici del ministero della Giustizia rispondono alle richieste di chiarimenti sul provvedimento che Bonafede intenderebbe portare dopodomani all' esame del consiglio dei ministri per arginare il rischio di scarcerazione facili di detenuti ad alto tasso di pericolosità. Ma che qualcosa sia in cantiere appare inevitabile. Perché sul tavolo dei giudici di sorveglianza non c' è solo il caso del vecchio boss camorrista.
Nei reparti di massima sicurezza di tutto il paese, decine di esponenti di spicco della criminalità organizzata attendono la decisione su Cutolo con comprensibile interesse. Nei giorni scorsi sono usciti personaggi di spicco come il camorrista Pasquale Zagaria e il calabrese Domenico Perre, colonnello dell' Anonima sequestri. Se dovesse farcela anche il fondatore della Nco, qualunque mafioso alle prese con problemi di salute sarebbe autorizzato a rivolgersi ai giudici: «E perché io no?».
francesco basentini alfonso bonafede
É questo lo scenario che Bonafede è chiamato a fronteggiare. Il terreno per intervenire con un decreto legge è però stretto e impervio. La competenza sulle istanze di scarcerazione per motivi di salute non è infatti né del ministro né del Dap, la direzione delle carceri che del ministero è il braccio operativo, ma dei tribunali di sorveglianza, dove i giudici non sarebbero disposti a sopportare un invasione di campo da parte del governo.
E una norma che affievolisse il diritto alla salute dei detenuti ad alta sicurezza sarebbe a rischio di incostituzionalità oltre ad incorrere quasi sicuramente nelle sanzioni della Corte dei diritti dell' uomo, che ha già bocciato parte delle norme italiane su questo fronte.
Così gli strumenti a disposizione del ministro per evitare nuovi casi eclatanti potranno essere soprattutto quelli legati alle strutture sanitarie interne o esterne alle carceri, come i reparti detentivi già esistenti all' interno di numerosi ospedali. Uno degli obiettivi potrebbe essere trasformare alcuni di queste strutture in reparti «Covid free», in modo da potervi destinare i detenuti affetti da altre patologie (come è stato il caso di Zagaria e come potrebbe essere quello di Cutolo) senza il rischio di venire contaminati dal virus. Ma ci vorrebbe del tempo. E il tempo è proprio quello che manca, visto che intanto cresce la diffusione dell' epidemia nelle carceri.
L' ultimo dato disponibile sulla penetrazione del virus, reso noto dal Garante per i detenuti Mauro Palma, parla di 138 positivi, cui vanno aggiunti 230 agenti di polizia penitenziaria. É un dato che potrebbe essere sottostimato, circolano voci che parlano di incidenze ben maggiori: come quella, falsa, secondo cui nel solo carcere di Opera sarebbero un centinaio i detenuti infetti. Invece i positivi sarebbero 21 in tutta la Lombardia, di cui nessuno a Opera. Ma l' unica cosa certa è che la prima e unica mossa del ministero sul fronte del virus, ovvero blindare le carceri per impedire che il contagio vi penetrasse, si è rivelata una pia illusione.
pasquale zagaria RAFFAELE CUTOLO raffaele cutolo francesco bonura