CHE TRISTEZZA: ORMAI VEDIAMO UMANITA' SOLO NEGLI ANIMALI - PER LA PRIMA VOLTA, IL "NEW YORK TIMES" HA PUBBLICATO UN "OBITUARY", UN LUNGO NECROLOGIO SCRITTO COME UN ARTICOLO GIORNALISTICO, DEDICATO A UN CANE, FINNIGAN, MORTO A 14 ANNI - LA PADRONA: "LORO, COME NOI, HANNO VITE CHE MERITANO DI ESSERE RICORDATE" - "I NECROLOGI INDICIZZANO I VALORI DELLA NOSTRA CULTURA, E IN QUESTA CULTURA ABBIAMO SEMPRE PIU' IMPARATO A VALORIZZARE LA VITA NON UMANA"...

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Da lastampa.it

 

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Finnegan, «un cane noto per il suo olfatto esemplare», ha ricevuto un “obituary” (in italiano “coccodrillo”, ossia un lungo necrologio scritto da un redattore in forma di articolo giornalistico) sul New York Times: «Loro, come noi, hanno vite che meritano di essere ricordate», ha scritto Alexandra Horowitz, la sua padrona, che è anche titolare di un Dog Cognition Lab al Barnard College, il 'braccio' femminile della Columbia University.

 

A differenza della stampa italiana, dove il ricordo postumo delle personalità trova posto nelle sezioni del giornale di cui sono state protagoniste, nel mondo anglo-sassone, esiste una vera e propria pagina dei necrologi: una "Spoon River' di ritratti scritti da giornalisti specializzati che dedicano le loro giornate a fare esclusivamente questo. Finnegan, morto a New York a 14 anni, però era un cane. Scrivendone l'obit per la pagina delle opinioni, la Horowitz ha approfittato della circostanza per farsi paladina di una causa.

 

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«La sezione Obit non pubblica ritratti di animali a dispetto del fatto che un necrologio è la commemorazione di una vita e anche gli animali hanno vite», scrive la psicologa canina, e cita l'opinione di William McDonald, il responsabile degli obit, secondo cui «sarebbe incongruo vedere la storia di un animale accanto a quella di uomini e donne che hanno vissuto vite esemplari».

 

Questa è una "assurdità" che la Horowitz vorrebbe corretta: «Nel 18esimo secolo la parola 'obituary' era applicata a qualsiasi morte. I giornali dell'Ottocento erano pieni di necrologi di cani». Anche il 'New York Times' ne ha pubblicati tanti, come notizie pero', anche se nel formato sempre più simili all'obit di una persona, con l'età, causa della morte, breve biografia e i motivi della fama: come per Gus, l'orso di Central Park o Laika la prima cagnolina a volare nello spazio.

 

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«La realtà - commenta la Horowitz - è che, nell'esaltare l'importanza della vita umana sopra quella degli altri animali, l'obit di un cane ai più sembra grottesco». Possono cambiare le cose? L'opinione della psicologa dopo tutto è stata pubblicata con ampio risalto, accanto a quelle sull'Ucraina e la politica interna a stelle e strisce. Il terreno è fertile in un momento in cui la 'pet economy' sta attraversando un boom. Negli Usa sei famiglie su dieci hanno un animale da compagnia, ma il Covid ha accelerato il fenomeno, le adozioni sono raddoppiate e i prezzi dei cuccioli da allevamento sono alle stelle a causa della richiesta del mercato.

 

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I millennials coccolano i loro animali domestici come bambini e spendono su di loro una parte crescente dei loro guadagni. Ed ecco dunque il perché l'obit di Finnegan, che veniva riconosciuto per strada come una star dopo esser apparso in trasmissioni televisive, secondo la Horowitz non dovrebbe apparire una stranezza: «Gli obit indicizzano i valori della nostra cultura, e in questa cultura abbiamo sempre più imparato a valorizzare la vita non umana».

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