trifone ragone e teresa costanza delitto di pordenone
Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
L’assassino non è più solo un uomo nero e misterioso. Ora esistono un volto e un nome, sui quali grava il pesante sospetto del duplice omicidio di Teresa Costanza e Trifone Ragone, i fidanzati uccisi il 17 marzo scorso sul piazzale della palestra di pesistica che frequentavano, in un quartiere popolare di Pordenone. Quella sera il killer si avvicinò alla loro auto impugnando una vecchia Beretta 7.65 ed esplose sei colpi a bruciapelo lasciando ai due giovani solo il tempo di girare la testa per poi piegarla inerte fra sangue, polvere da sparo e vetri.
Dopo sei mesi d’inchiesta e una mole impressionante di dati raccolti da una cinquantina di uomini impiegati sul campo e in laboratorio, dopo aver incrociato i risultati delle perizie scientifiche con quelli dell’analisi dettagliata di profili social, tabulati, sms, celle telefoniche e immagini — e con le centinaia di testimonianze raccolte dai carabinieri della città friulana, supportati dai reparti investigativi del Ros e del Ris — la Procura di Pordenone ha dunque mosso un passo importante procedendo all’iscrizione del sospettato nel registro degli indagati.
L’accusa è stata formalizzata in questi giorni, dando così una svolta al lavoro degli inquirenti che fino a qualche settimana fa sembrava ancora senza una bussola. «Abbiamo un’idea seria ma di più non posso dire... anche per non dare vantaggi al killer», ha tagliato corto con prudenza il procuratore capo di Udine Marco Martani. La delicatezza dell’indagine impone il silenzio.
Un silenzio dal quale trapela un dettaglio: non ci sarebbe un mandante. Cioè, chi ha ucciso non l’ha fatto su commissione. Ha pensato, ideato e commesso il delitto realizzando un proprio piano. Questa almeno l’ipotesi investigativa, sulla quale stanno confluendo tutti i dati significativi fin qui raccolti sull’indagato. Al mosaico dell’accusa manca ancora qualche tassello ma gli elementi già messi in fila sembrerebbero concordare.
Ultimo indizio in ordine di tempo: un caricatore compatibile con l’arma del delitto, la Beretta automatica calibro 7.65 che il perito balistico Pietro Benedetti ha indicato come probabile dopo aver esaminato i bossoli trovati accanto ai cadaveri. Una piccola pistola, maneggevole ma molto datata, addirittura del periodo precedente alla seconda guerra mondiale. Il caricatore è stato rinvenuto la scorsa settimana dai sommozzatori dell’Arma sul fondale di un laghetto vicino al piazzale della tragedia e il componente è stato subito sottoposto all’esame del Ris di Parma.
Compatibilità non significa coincidenza ma, considerata la particolarità della pistola, molto vecchia, gli investigatori ritengono che quel caricatore possa davvero essere stato gettato in acqua dall’assassino la sera stessa del delitto. Il che comporta una serie di conseguenze dal punto di vista della conoscenza dei luoghi da parte del killer e della dinamica della fuga, considerato anche che il cancello automatico del parco del laghetto chiude alle 20 mentre il delitto sarebbe stato commesso fra le 19.40 e le 19.50, lasso di tempo fissato dal perito con una certa tolleranza.
TRIFONE RAGONE E TERESA GIALLO PORDENONE
Per fare il punto sulla situazione ieri c’è stato un vertice degli investigatori. Il primo appuntamento dopo la svolta. Nei precedenti si era parlato delle varie piste fin qui battute: passionale, caserma (rancori con commilitoni di Ragone), riciclaggio, anabolizzanti, stalker. Teresa e Trifone, belli, sportivi e lavoratori, frequentavano ambienti vari. Trentenne bocconiana e assicuratrice con qualche lavoro di ripiego serale lei. Ventinovenne sottufficiale dell’esercito, pesista olimpico e modello lui. Teresa arrivava da Milano, Trifone da Bari.
Si erano conosciuti l’anno prima, si erano innamorati e si sarebbero sposati. Se non fossero stati uccisi.
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