GIOVANNI LEGNINI LUCA PALAMARA
1 - «IL FATTO» FACEVA DA CASELLA POSTALE PER LE MANOVRE IN TOGA DI PALAMARA & CO
Lodovica Bulian per “il Giornale”
Corruzione nell' esercizio della funzione, corruzione in atti giudiziari e violazione del segreto d' ufficio. Con un invito a comparire il 29 luglio davanti ai magistrati della procura di Perugia. Si aggrava la posizione di Luca Palamara che a settembre andrà anche a processo disciplinare davanti al Csm, dove mira a trascinare un centinaio di esponenti della magistratura per dimostrare che «così fan tutti». Ma intanto prosegue l' inchiesta per corruzione dei magistrati umbri ed emergono nuovi elementi nell' accusa all' ex presidente dell' Anm ed ex leader della corrente centrista Unicost.
A Palamara viene contestato il segreto di ufficio in cui è coinvolto anche un altro magistrato romano, l' amico Stefano Fava, già indagato a Perugia. I due avrebbero manovrato per screditare la reputazione dell' ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e del suo aggiunto Paolo Ielo per gestire la sua successione e nominare chi di loro gradimento. E l' avrebbero fatto, secondo gli inquirenti, utilizzando a questo fine due quotidiani, il Fatto e La verità. Scrivono i magistrati che «i due pm violando i doveri inerenti alla propria funzione rivelavano ai giornalisti notizie di ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete».
Secondo l'accusa, Fava che era il titolare del fascicolo su Piero Amara, ex legale esterno dell' Eni, «con l'aiuto e l'istitigazione di Palamara» fa sapere ai cronisti dei quotidiani che l' avvocato era indagato per frode fiscale e bancarotta. E racconta anche di aver chiesto per Amara misure cautelari negate invece da Pignatone. Sulle motivazioni del diniego Fava aveva inviato un esposto al Csm.
E poi c'è il filone mezzi e «viaggi»: Palamara avrebbe ricevuto tra il 2018 a 2019 due scooter da parte del titolare della Aureli Meccanica Federico Aureli, suo socio nel chiosco comprato in Sardegna attraverso, ipotizzano i pm, un prestanome. E sempre Aureli gli avrebbe anche pagato delle multe prese con quei mezzi. Un modo per sdebitarsi per l' interessamento del magistrato a un processo in cui sarebbero state coinvolte la moglie e la madre al tribunale di Roma.
E poi ci sono quattro week end trascorsi dall' ex pm tra 2011 e il 2018 a Capri in un lussuoso hotel, con la moglie, con la famiglia e con una amica. Soggiorni a cinque stelle, fino a duemila euro per pochi giorni, offerti dal titolare della società a cui fa capo l' albergo. I legali di Palamara precisano: «Nella giornata di giovedì è stato notificato al nostro assistito avviso a comparire: e oggi è stato pubblicato sugli organi di stampa! Tuttavia, i fatti sono ampiamente noti a questa difesa e riguardano notori e consolidati rapporti di amicizia risalenti nel tempo (nel caso di Capri si tratta addirittura di inviti per un totale di 6 notti nell' arco di dieci anni ed in occasione di ricorrenze).
È intenzione di Palamara quella di chiarire tutti i fatti oggetto di contestazione compresa la sua totale estraneità alle notizie pubblicate sul Il Fatto e La verità relativamente alle vicende dell' esposto di Fava contro Ielo e Pignatone per la mancata astensione nel procedimento penale nei confronti dell' avv.Amara a causa dei rapporti professionali tra quest' ultimo ed il prof. Roberto Pignatone. È ferma intenzione del nostro assistito per evitare inutili e pretestuosi stillicidi e per sgombrare il campo da possibili ed ulteriori contestazioni su asserite utilità ricevute».
2 - INCHIESTA ROVINATA A PERUGIA, MA I PM «PUNTANO» I NOSTRI SCOOP
Giacomo Amadori per “la Verità”
«Quelle fughe di notizie hanno rovinato l'inchiesta». Il pm di Perugia Mario Formisano il 9 luglio scorso è stato molto onesto con il cronista. Ma il riferimento non era allo scoop della Verità sull'esposto dell'allora pm Stefano Fava contro il suo vecchio capo Giuseppe Pignatone, bensì alle notizie pubblicate dalla Repubblica e dal Corriere della sera sul caso Csm nel maggio-giugno 2019. Ma purtroppo le indagini su quegli scoop procedono a rilento e dopo oltre un anno pare che non sia ancora stata individuata la manina che passò ai quotidiani notizie riservatissime sull'inchiesta, costringendo i pm alla discovery del fascicolo attraverso un decreto di perquisizione.
Chi scrive è stato sentito due settimane fa come persona informata dei fatti per l'articolo pubblicato il 29 maggio 2019 sulla vicenda dell'esposto, anche se, all'epoca dei fatti contestati, non conosceva né Fava, né Palamara e ha appreso la notizia della denuncia da fonti diverse dagli indagati. Formisano, tra una domanda e l'altra, ha ammesso, come detto, la gravità delle altre fughe di notizie, ma intanto lui e la collega procedono celermente su quella collegata all'esposto di Fava.
L'accusa, come ha anticipato ieri sempre la premiata ditta Repubblica-Corriere della sera, è che l'ex pm romano e Palamara, in concorso tra loro, «rivelavano ai giornalisti dei quotidiani Il Fatto quotidiano e La Verità notizie d'ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete». Fava le conosceva essendo contenute in un fascicolo di cui era stato titolare e Palamara lo avrebbe istigato a portarle a conoscenza dei due giornali.
Ci assale un dubbio: la Procura di Perugia ritiene più urgente scoprire chi abbia spifferato informazioni riservate che riguardavano un procedimento capitolino, piuttosto che individuare chi abbia «rovinato» la propria inchiesta?
I segreti che Fava avrebbe rivelato sono questi: l'iscrizione dell'avvocato Piero Amara in un procedimento per frode fiscale e bancarotta; la richiesta da parte dello stesso Fava dell'arresto per Amara, su cui Pignatone non aveva apposto il visto; una seconda richiesta di misura cautelare nei confronti di Amara per autoriciclaggio, che, anche in questo caso, il procuratore non controfirmò; la notizia che durante una perquisizione ai danni di Amara era stata recuperata documentazione che dimostrava come l'Eni, attraverso una società terza, avesse fatto pervenire ad Amara.
Riassumiamo: viene accusato di aver favorito Amara attraverso le fughe di notizie chi aveva provato per ben due volte e inutilmente a farlo arrestare e non chi si era rifiutato per due volte di mettergli le manette. Palamara, che verrà ascoltato il prossimo 29 luglio dai pm Gemma Miliani e Formisano, è accusato di corruzione per l'esercizio della funzione e corruzione in atti giudiziari (anche se non è indicato il magistrato che avrebbe accettato di alterare la decisione) per una storia già raccontata in anteprima dalla Verità il 17 luglio scorso. L'ex presidente dell'Anm si sarebbe interessato a un procedimento che riguardava madre e moglie dell'amico Federico Aureli, da cui «indebitamente riceveva utilità consistite nella disponibilità di almeno due scooter [] e nel pagamento di multe levate mentre egli utilizzava tali motoveicoli».
Ma c'è anche una seconda contestazione e riguarda quattro soggiorni a Capri del valore complessivo di 6890 euro effettuati tra il 2011 e il 2018 con la famiglia e con una amica in un lussuoso albergo di proprietà della società Artesole, di cui è titolare l'imprenditore Leonardo Ceglia Manfredi. In più Palamara avrebbe usufruito di due passaggi in auto con chauffeur costati 305 euro. In questo caso Palamara si sarebbe interessato alla causa di separazione del fratello di Ceglia Manfredi, Goffredo. Inoltre a casa di Palamara sono stati trovati dagli investigatori un verbale di verifica fiscale e un altro di ispezione in materia di igiene pubblica nei confronti della Artesole.
Le chat tra Leonardo Ceglia Manfredi e Palamara sono molto lunghe e più che di corruzione in atti giudiziari i due discettano, come vitelloni attempati, di cene e week end in località esclusive, ma pure di calcio e donne. Comunicazioni tra bon vivant, ma soprattutto, pare di capire, tra amici. In un messaggio dell'ottobre 2017 i due sembrano fare riferimento a una causa: «Mio fratello mi pressa. Vorrebbe far promuovere un accordo». Il 19 giugno 2018 sempre Leonardo Ceglia Manfredi scrive a Palamara: «Ho sentito anche Vale (marito di un magistrato, ndr) allora vogliamo fare il week end 6-8 (luglio, ndr) a Capri».
È uno dei soggiorni sotto inchiesta. I fratelli Ceglia Manfredi, in un procedimento per false comunicazioni sociali (per aver esposto nei bilanci «dati non corrispondenti a quelli reali»), sono stati difesi dagli stessi avvocati di Palamara e nel marzo 2019 il pm Francesco Cascini, fratello di Giuseppe, consigliere del Csm (entrambi sono finiti nella chat di Palamara) ha chiesto l'archiviazione, con il visto del procuratore aggiunto Rodolfo Sabelli. Ieri gli avvocati di Palamara Roberto Rampioni, Mariano e Benedetto Buratti hanno replicato con un duro comunicato sugli articoli di Corriere e Repubblica che hanno dato la notizia e hanno annunciato per l'interrogatorio del 29 un colpo di scena.
«Nella giornata di giovedì è stato notificato al nostro assistito avviso a comparire: e oggi è stato pubblicato sugli organi di stampa» hanno puntualizzato, evidenziando il solito filo diretto tra inquirenti e redazioni. Per loro i soggiorni a Capri vanno collegati ai «notori e consolidati rapporti di amicizia risalenti nel tempo».
Quindi hanno annunciato «l'alba di un nuovo giorno»: «È intenzione del dottor Palamara quella di chiarire il prossimo 29 luglio tutti i fatti oggetto di contestazione compresa la sua totale estraneità alle notizie pubblicate sul Fatto quotidiano e La Verità, relativamente alle vicende dell'esposto di Fava []. È ferma intenzione del nostro assistito, per evitare inutili e pretestuosi stillicidi e per sgombrare il campo da possibili ed ulteriori contestazioni su asserite utilità ricevute, anche quella di chiarire tutte le vicende inerenti richieste di interessamento per le nomine che nel corso degli anni gli sono state avanzate nell'ambito della sua attività consiliare e di esponente della magistratura associata e risultanti dalle chat acquisite al procedimento».
Dunque, mentre i pm di Perugia puntano a incastrare Palamara, come un Al Capone qualunque, per l'utilizzo gratuito di due motorini e per quattro soggiorni in hotel (sette notti in totale), molto probabilmente dovranno prendere atto di nuove notizie di reato. Partendo da quelle chat che sono state inviate al Csm, ma su cui la Procura umbra non ci risulta abbia aperto alcun filone d'indagine.