Andrea Pasqualetto per il "Corriere della Sera"
federico bianchi duca di casalanza
Quando morì, ricchissimo, nobile e solo, il barone Pieradolfo de Kunkler provocò una guerra. Quella per l'eredità: più o meno 100 milioni di euro, cioè il valore stimato di una villa veneta nel Trevigiano, di un'azienda agricola di 400 ettari e di vari appartamenti a Padova e Roma. Il barone, imprenditore titolare della Latte Bianchi (poi venduta alla Granarolo), morì ottantenne il 21 aprile del 2000 su un letto d'ospedale dopo una lunga malattia.
Da allora è stata un'odissea giudiziaria con vari processi, colpi di scena, un paio di testamenti e accuse incrociate fino a quella più dura: tentato omicidio. Alla fine, dopo vent' anni, ha vinto lui: Federico Bianchi Duca di Casalanza, anch' esso barone, 75 anni, cugino di sesto grado di de Kunkler (cittadino elvetico), ritenuto dal tribunale svizzero di San Gallo l'unico erede legittimo del lontano parente, il quale era celibe e senza figli. «È stata dura, ho combattuto a lungo ma finalmente giustizia è stata fatta», ha detto sorridente il barone davanti ai giornalisti, dopo aver convocato per l'occasione una conferenza stampa.
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Il suo nemico di sempre, il sessantacinquenne imprenditore di Casale sul Sile Luciano Tonietti, che sostiene di essere figlio naturale del barone, è furibondo: «Sentenza vergognosa, il giudice svizzero non ha fatto nemmeno una perizia sulla firma del testamento a favore di Bianchi. Non mollo nemmeno se mi puntano la pistola alla tempia... Anzi, sa cosa faccio: cito la Svizzera davanti al Tribunale internazionale per scorrettezza... mentre il barone sta vendendo tutto». Uno contro l'altro, senza esclusione di colpi.
Il barone e l'imprenditore, il cugino e il «figlio» davanti al quale il giudice elvetico ha però scosso la testa: nessuna paternità per de Kunkler. Ma per capirne di più bisogna riavvolgere il nastro di vent' anni e tornare ai primi mesi del 2000. Quando cioè al capezzale del barone si presentano un notaio e due primari. È il giorno in cui il facoltoso paziente mette la firma sotto un testamento nel quale nomina erede universale Federico Bianchi.
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Il 21 aprile dello stesso anno il nobile passa a miglior vita e di lì a poco inizia anche la battaglia per la conquista delle sue fortune, delle quali la settecentesca villa Bianchi di Mogliano Veneto è il pezzo pregiato. Accende le polveri un esposto anonimo indirizzato alla Procura di Treviso, in cui si sostiene che Pieradolfo non era nel pieno delle sue facoltà quando firmò il testamento. Parte così un'indagine per circonvenzione d'incapace che blocca la successione.
Vengono sentiti amici e collaboratori del barone ma non se ne cava nulla. «Archiviamo», decidono i magistrati. Nel 2007 piomba sul «cugino» l'accusa che fa della vicenda un giallo. A muoverla è l'ex governante di de Kunkler, Egide Tonetto: Federico Bianchi ha fatto pressioni sull'infermiere personale dell'anziano barone per accelerarne la morte. Parole poi caricate con la polvere da sparo dall'infermiere, «mi chiesero di ucciderlo ma rifiutai», e con le quali il «cugino» dovrà fare i conti per un bel po' fra nuove indagini, tutte archiviate, e sospetti di paese che lo portarono a lasciare il Veneto per Vienna, dove vive attualmente.
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Nel frattempo Tonietti, scagionato da un'accusa dii calunnia, torna alla carica con un documento nel quale Pieradolfo scrive di essere suo padre e un testamento datato '98 in suo favore. Passano altri 6 anni ed ecco la sentenza svizzera: Tonietti non è figlio di de Kunkler, l'eredità va a Federico Bianchi Duca di Casalanza. «Oggi sono felice», sorride il barone. «Appuntamento al tribunale internazionale», rilancia l'imprenditore.
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