COME MORIRONO DAVVERO QUEI NOVE DETENUTI A MODENA? - DUE ESPOSTI RIAPRONO IL CASO DELLA RIVOLTA NEL CARCERE EMILIANO, QUANDO NEL MARZO 2020 SI REGISTRARONO DECESSI CHE SECONDO PROCURA E GIP FURONO CAUSATI DA OVERDOSE DI FARMACI: "LE FERITE? LIEVI E IRRILEVANTI" - ORA PERÒ IN SEI RACCONTANO DI "PESTAGGI DI MASSA, COMMANDO DI AGENTI E MANCATI SOCCORSI”, MENTRE SECONDO UNA PERIZIA LE INDAGINI SONO STATE CARENTI...

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Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa

 

RIVOLTA NEL CARCERE DI MODENA RIVOLTA NEL CARCERE DI MODENA

Due esposti che denunciano pestaggi, testimonianze su violenze e mancati soccorsi, una consulenza scientifica sulle autopsie riaprono il caso Modena, facendo ipotizzare che in quel carcere, nel marzo 2020, dopo una «grave rivolta» sia accaduto qualcosa di più rispetto alla «semplice» morte di nove detenuti causata da «overdose di metadone e di sostanze psicotrope», come finora ricostruito nella prima inchiesta recentemente archiviata dal gip su richiesta della Procura.

 

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Una seconda inchiesta della Procura di Modena è aperta sui pestaggi. Alcuni detenuti sono stati interrogati. I fatti, così come ricostruiti dalla Procura, risalgono all'8 marzo. La mattina viene ufficializzato il primo caso di positività al Covid. Alle 13 comincia la rivolta: saccheggi, incendi, tentativi di avasione.

 

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Alle 16 viene assaltata l'infermeria, i detenuti «riempiono forsennatamente sacchi per l'immondizia con quantitativi ingenti di farmaci che poi riportano in sezione». Le infermiere si rifugiano sotto un letto.

 

Seguono «colluttazioni e risse» tra detenuti per accaparrarsi compresse di psicofarmaci distribuite «come caramelle» e flaconi di metadone bevuti «a canna». Alcuni vengono portati fuori «in stato di apparente coma», rianimati o ricoverati in ospedale in una situazione da «emergenziale assimilabile alla medicina da campo da guerra».

 

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In serata, a rivolta non ancora sedata, su 546 detenuti ne vengono trasferiti 417. Nove muoiono: cinque a Modena (tre la stessa sera, due il 10 marzo); gli altri nelle ore successive al trasferimento: a Verona, Alessandria, Parma, Ascoli. Sei tunisini, un marocchino, un moldavo, un italiano.

 

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Procura e gip riconducono le morti alla «massiccia, incongrua e fatale assunzione di metadone». Ininfluenti escoriazioni ed ecchimosi su schiena, braccia, gambe, labbra e occhi, in quanto «superficiali, di limitate dimensioni e comunque compatibili con contusioni» nelle risse tra rivoltosi. Incolpevoli agenti e medici.

 

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Messa così, pare «una storia semplice». Però. Parenti delle vittime, associazione Antigone e Garante dei detenuti si oppongono, per ora invano, all'archiviazione. Rilevano «gravi lacune, carenze e incongruenze investigative», contestano la «apodittica» ricostruzione della Procura, denunciano la mancanza dei referti medici.

 

Di più. Per conto del Garante, l'anatomopatologa Cristina Cattaneo (già impegnata nei casi Yara e Cucchi, tra gli altri) evidenzia «diverse carenze documentali». Contesta che sul cadavere di Ghazi Hadidi «non è stata erroneamente compiuta l'autopsia», a dispetto di «un trauma contusivo al volto di non scarsa entità» con perdita di due denti.

 

Che per la Procura dipende da una malattia gengivale; per la Cattaneo no, perché c'era sangue fresco in bocca. Si chiede dunque «se non vi fosse stato anche un trauma encefalico», domanda «senza risposta in assenza di autopsia».

 

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E su Arthur Iuzi scrive che «l'apparente modestia delle lesioni cutanee lascia spazio al dubbio che vi sia stata una successione tale di colpi da produrre lesioni cerebrali che possono evolvere verso il peggio». Ma «anche in questo caso il dubbio non può essere fugato» senza autopsia.

 

Mancano anche i video delle telecamere interne, perché durante la rivolta fu staccata la luce. Dunque di quanto accaduto a sera e nella notte nulla si sa. Fino a quando sei detenuti trasferiti da Modena non inviano in Procura due esposti. Cinque detenuti italiani raccontano di aver «assistito ai metodi coercitivi» degli agenti di polizia penitenziaria: «ripetuti spari ad altezza uomo, cariche a colpi di manganelli di detenuti palesemente alterati» e in overdose.

 

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«Noi stessi dopo esserci consegnati spontaneamente senza aver opposto resistenza siamo stati privati delle scarpe, picchiati selvaggiamente e ripetutamente e fatti oggetto di sputi, minacce, insulti e manganellate. Un vero pestaggio di massa» proseguito «sui furgoni a colpi di manganelli durante il viaggio verso Ascoli» e poi il giorno dopo in cella «con calci pugni e manganellate ad opera di un commando».

 

Nell'altro esposto, un detenuto marocchino ora a Forlì racconta che la sera della rivolta, nel carcere di Modena, chi si consegnava doveva passare tra due file di agenti della polizia penitenziaria.

 

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«Io volevo solo andarmene perché avevo paura. Sono uscito con le mani in alto. Nonostante ciò, alcuni agenti mi hanno bloccato. Poi mi hanno portato in sorveglianza, sdraiato e picchiato violentemente con calci pugni e manganelli», al pari di un detenuto tunisino, «nonostante fosse ammanettato e fermo. Ho provato a protestare per lui, ma gli agenti mi dicevano "stai zitto e abbassa la testa" e per aver parlato venivo nuovamente picchiato. A un certo punto il tunisino mi cadeva addosso. Non rispondeva. Gli agenti cominciavano a prenderlo a botte per farlo svegliare», prima di portarlo via «come un animale, trascinandolo fuori. Ricordo il corpo che strisciava a terra. Non so dove sia stato portato».

 

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All'esposto sono allegati i referti della visita medica successiva al trasferimento a Forlì, con «vistoso ematoma frontale e mani tumefatte, lussazioni e fratture». La Procura dovrà riscontrare la fondatezza di questi racconti. Destinati a non rimanere isolati.

 

Segnalazioni arrivano ancora a Garante, associazioni e avvocati. «Siamo stati massacrati, tutte le piastrelle erano piene di sangue», ha raccontato al TgR Rai dell'Emilia Romagna un detenuto sotto garanzia di anonimato, confermando i pestaggi prima dei trasferimenti, nel momento in cui si doveva passare «in un corridoio di quindici metri» con i poliziotti incappucciati sui due lati «che mi hanno dato tante di quelle botte che ho pensato di morire».

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