Francesca Paci per “la Stampa”
GIUSEPPE CONTE - SILVIA ROMANO CON I GENITORI - LUIGI DI MAIO
Ci vorranno settimane prima che la conversione all' islam di Silvia Romano scivoli via dai social network e resti a lei, soltanto a lei, lo specchio in cui cercarsi. Perché la fede è cosa intimissima, ma quella discesa scenografica dall' aereo che la riportava a casa, con l' abaya verde così ingombrante da far pensare sul principio a uno scafandro sanitario, ha confuso l' Italia, autorizzando molti a partecipare della scelta di Silvia come della sua liberazione. Perché sposare il credo dei rapitori? Come? A che prezzo? Per quanto tempo?
«Senza entrare nel merito della sfera privata, è plausibile che si tratti di una conversione spontanea, ci sono donne che dopo aver divorziato dal marito musulmano manesco e violento hanno abbracciato il Corano» ragiona Stefano Allievi, lo studioso italiano più ferrato in tema di convertiti. E non è detto che sia una meteora: sono passati quasi due lustri da quando la giornalista inglese Yvonne Ridley raccontò di aver scoperto l' islam mentre era prigioniera dei talebani in Afghanistan e fino a due anni fa portava ancora il velo.
Silvia Romano ha letto, in qualche modo, il Corano. Molte donne italiane, una buona parte dei circa 60 mila nostri connazionali convertiti all' islam, si sono avvicinate così.
Soprattutto le più giovani. Fino a qualche anno fa i convertiti erano figli degli anni '70, musulmani compiutisi lungo un percorso politico, eredi dell' esoterismo destrorso di René Guénon o della sinistra extra-parlamentare alla riscossa sull' occidente capitalista. Poi c' era chi sposava uno straniero e, umile, indossava il niqab.
Ora, continua Allievi, la spinta è più relazionale che razionale: «Aumentano le conversioni che maturano in classe, dove gli adolescenti si mescolano con curiosità e le seconde generazioni d' immigrati portano la loro esperienza valoriale».
Da due giorni la storia di Silvia Aisha Romano è l' argomento più dibattuto durante la rottura dell' iftar, il digiuno di questo Ramadan offuscato dal coronavirus. I musulmani d' Italia hanno salutato il suo ritorno come una festa doppia, perché la conversione è definita «ritorno all' Islam». Ma si discute, eccome se si discute. La povera Silvia, con i suoi fantasmi, non c' entra, e per lei si sono spese voci autorevoli come lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, rinato alcuni anni fa con il nome di Giafar al Sikilli.
Il tema, però, scotta. Molti, i più vicini alla dottrina saudita, non hanno apprezzato affatto il marchio anche religioso impresso da Erdogan, cui è dedicato uno dei due ospedali di Mogadiscio.
Altri brindano. L' antropologa e sufi somala Maryam Ismail ha scritto alla ragazza una lettera aperta per dirle che la comprende, che al suo posto si sarebbe convertita «in un nano secondo a qualsiasi cosa pur di resistere», che si dissocia da chi ne contesta l' abaya così come da chi inneggia alla nuova conversione ma che esclude si tratti «di una scelta di libertà, non può esserlo stata in quella situazione».
E' dunque sindrome di Stoccolma? Allievi pensa piuttosto che possa essere un misto di condizioni traumatiche e fascinazione culturale, una sorta di sindrome di Lawrence d' Arabia, il mistero magnetico dell' altro che assomiglia al mal d' Africa, il té nel deserto, l' ambiguità messa a nudo da Edward Said, un senso d' inconscia superiorità espiato perdendosi nello specchio, oltre il mito pre-moderno dell' autenticità.
«Per me l' illuminazione fu una vacanza in Marocco, mi colpì la preghiera dei musulmani, interi mercati che si fermavano al richiamo del muezzin, l' autista che accostava il pullman e s' inginocchiava nel silenzio generale» racconta Amal Maria, impiegata lombarda di poco più grande di Silvia Romano.
Hussein Morelli, 39 anni, ha abbracciato l' islam sciita appena maggiorenne in cerca di «un' alternativa alla società cristiana desacralizzata, areligiosa, troppo laica». Carlo Delnevo, il padre del giovane genovese morto in Siria combattendo con l' Isis, non è un ragazzo in cerca d' identità ma si è fatto musulmano nell' assenza del figlio.
«Faccio gli auguri a Silvia, è la prova che la fantomatica sudditanza femminile serve solo alle polemiche sterili» chiosa Omar Camilletti, ex portavoce della Grande Moschea di Roma e classificato come "musulmano sovranista", vicino cioé a quella destra italiana che in gran parte, a eccezione di Francesco Storace sull' Huffington Post, ha puntato l' indice severo contro la ragazza. Lei, Aisha, ieri sera si è mostrata ancora, da casa, nascosta dietro il grande velo verde che copre tutto.
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