Giovanni Falconieri per il “Corriere della Sera”
Il ricordo più bello arriva da un mondo che è a più di sedicimila chilometri di distanza dal nostro: «Nessuno avrebbe potuto rubargli la felicità, neppure chi l' ha ucciso ci è riuscito». Nel Krishna Village Eco-Yoga di Eungella, nel Nuovo Galles del Sud, Stefano Leo era «l' anima candida che accoglieva altre anime candide, un uomo incredibilmente buono e con un cuore straordinariamente grande».
Nella lontana Australia, dove si era trasferito nell' ottobre del 2014 e nella quale aveva vissuto per 4 anni frequentando comunità religiose, centri yoga e aziende agricole, Stefano era diventato vegano e aveva imparato ad amare l' Induismo e il Buddhismo e ad apprezzare la grande forza spirituale delle filosofie orientali.
Nel settembre dello scorso anno era rientrato in Italia e si era portato dietro quella «pace interiore» che in tanti gli invidiavano. E che deve aver impressionato anche l' assassino, che per più di 40 minuti è rimasto seduto su una panchina di fronte al Po in attesa che «passasse quello giusto» da aggredire. E «quello giusto» era Stefano, perché portava sul volto i segni inconfondibili della felicità. «L' ho scelto per quello», ha confermato il 27enne marocchino Said Mechaquat quando si è presentato dai carabinieri per confessare il delitto. «Aveva un' aria felice e così l' ho accoltellato alla gola».
Può apparire una frase fatta, ma Stefano Leo, nato a Biella 33 anni fa, era felice sul serio. E quel sabato mattina di fine febbraio sorrideva anche, mentre ascoltava la musica dalle cuffiette e si dirigeva verso il negozio K-way di via Roma nel quale faceva il commesso da dicembre. «Lì c' è un bel gruppo», aveva detto alla madre riferendosi ai suoi nuovi colleghi. «Sono tutti gentili e per loro sono disposto a fare i turni anche il sabato e la domenica, così chi ha figli e preferisce stare a casa può farlo».
«Stefano era una bella persona», dicono adesso dal negozio in centro a Torino. «Era sereno, felice, sempre disponibile. Era amico di tutti, era un' anima pura». Stefano era il ragazzo che non alzava mai la voce, che affrontava ogni situazione con il sorriso sulle labbra. Era convinto che fare del bene fosse la cosa più naturale del mondo. Era single e vegano, amava i tatuaggi e adorava fotografare i tramonti dal balcone della sua abitazione in Lungopo Machiavelli, a 600 metri da dove ha trovato la morte. E poteva restare per ore a parlare della bellezza della barriera corallina in Australia e dello splendore della fioritura dei ciliegi in Giappone.
Stefano si era laureato in Giurisprudenza con il voto di 108 su 110, aveva frequentato per qualche tempo uno studio legale a Milano ma poi aveva scelto per sé la strada del mondo. E quella strada lo ha portato in Australia e in Nuova Zelanda, in Thailandia, in Brasile e in Giappone.
Ovunque sia stato, Stefano ha lasciato di sé un ricordo straordinariamente bello. L' ultimo messaggio sul suo telefonino è di un' amica che oggi vive a Londra e che continua a ripetere che «nessuno avrebbe potuto fargli del male, perché lui non avrebbe fatto del male neppure a una mosca».
Quel messaggio è delle 10.50 del 23 febbraio: qualche minuto dopo, Stefano sarebbe stato assassinato. Ucciso senza motivo, si direbbe in questi casi. «L' ho ucciso perché era felice», ha precisato l' assassino.
Stefano aveva raggiunto Melbourne nell' ottobre del 2014, due anni dopo la laurea.
Nello Stato di Victoria, sulla costa sud-orientale dell' Australia, aveva lavorato come supervisor per la Ceres Community Environment Park.
Nell' aprile del 2016 si era trasferito al Krishna Village di Eungella, sul versante orientale davanti al Mar dei Coralli, e per dodici mesi aveva ricoperto il ruolo di manager volontari. Infine, era stato supervisor al Giri Kana Vegetarian Cafè di Southport, nel Queensland, dall' aprile del 2017 al settembre del 2018, quando era rientrato in Italia.
Era andato a vivere a Milano con il padre Maurizio, imprenditore. Poi si era trasferito a Biella dalla madre Mariagrazia, dirigente d' azienda.
Aveva scelto infine di abitare a Torino: al sesto piano di un' elegante palazzina con vista sul Po. Con lui, in quell' appartamento, c' era l' amico d' infanzia ed ex compagno di università Sebastiano. Un solo dubbio resta agli inquirenti: che Said Mechaquat possa aver scambiato Stefano per il nuovo compagno della sua ex moglie. «Un' ipotesi da approfondire», spiegano.
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