Claudia Osmetti per “Libero Quotidiano”
Non è una questione politica e le bandiere di partito, qui, c'entrano fino a un certo punto. Nel senso che sì, è vero, a farne le spese, e far uscire il dibattito, è stata Nadia Conticelli, che è una consigliera (anzi, proprio la capogruppo del Pd) al Comune di Torino.
Però gli odiatori seriali, quei leoni da tastiera che dietro a un computer ruggiscono le peggio cose che uno manco s'immagina e poi, magari, se li incontri per strada, sono più timidi di un agnellino al pascolo, non hanno un colore.
Colpiscono a destra, a sinistra, pure al centro. L'importante (per loro) è macinare commenti al limite della querela. Ecco, appunto: al limite. Perché Conticelli, quando s'è trovata a dover fronteggiare i poco amichevoli insultatori della rete, ha deciso di portarli in tribunale.
Ché, ammettiamolo, non se ne può più. Ma non c'è riuscita perché, quattro anni dopo i fatti, la procura piemontese ha chiesto l'archiviazione della sua inchiesta. Una-brutta-storia-però-son-cafoni-mica-delinquenti. Andiamo per gradi.
INSULTI VOLGARI
È il 2018: i grandi complottisti del www se la prendono già con BigPharma (e non sanno cosa li aspetta), mentre lei, Conticelli, che all'epoca è eletta in Regione e non al Municipio, pubblica un commento sull'immigrazione che oggi non possiamo leggere epperò non fatichiamo a intuire sia poco tenero nei confronti di quel Matteo Salvini che, sempre all'epoca, oltre a essere il segretario della Lega, fa anche il ministro degli Interni con lo slogan "porti chiusi".
Fin qui, normale dialettica politica: di quella moderna, fatta a colpi di social. Il problema nasce quando il post comincia a far prudere il ditino agli irriducibili "haters". Lo ribadiamo, ce ne stanno da tutte le parti. Questa volta si accaniscono contro Conticelli e la sommergono di risposte il cui tenore suona più o meno (anzi no, esattamente) così: «Lurida troia»; «spero che i clandestini stuprino te e le tue figlie». «Dategli un vibratore».
Diciamocelo subito, altrimenti i soliti benpensanti saltano sulla sedia: non si fa. Non è solo sbagliato, è anche stupido: in un mondo in cui, con due click, si può risalire praticamente a chiunque e basta smanettare un attimo su un pc per mettere da parte un faldone di prove da portare a un giudice, sarebbe meglio pensarci due volte.
Ma loro (sempre gli odiatori seriali di cui sopra) proprio non resistono. Conticelli segnala tutto, fa foto di tutto, registra tutto. Bussa alla porta dell'autorità giudiziaria e poi aspetta. Passano quattro anni (che la giustizia, in questo Paese, non viaggi su un percorso di Formula1 lo sappiamo bene), arriviamo ai giorni nostri e le recapitano una comunicazione dal tribunale.
Sopra c'è scritto che il caso è da considerarsi archiviato, cioè non si andrà nemmeno a processo, perché gli insulti che ha ricevuto non sono una violazione del Codice penale bensì «frasi inurbane e molto maleducate».
Su questo non ci piove, ma la dem replica a sua volta: adesso «scopriamo con rabbia incredula che gli insulti a sfondo sessuale rivolti alle donne sono una questione di educazione e non un reato».
Non ci sta Conticelli e scrive una lunga lettera aperta nella quale si sfoga e si toglie più di un sassolino dalle scarpe. Purtroppo casi come il suo sono sempre più frequenti perché viviamo in una realtà che è sempre più digitale e di cretini in giro ce n'erano già abbastanza prima, quando si riunivano al bar e potevi anche non sentirli confabulare, figuriamoci oggi, che internet amplifica come un megafono qualsiasi discussione.
ARTICOLI DEL CODICE
Semmai la decisione dei pm torinesi è rilevante da un punto di vista, diciamo così, del diritto: perché fissa un principio, quello che nei meandri del web non ci sia spazio per reati "appositi".
La diffamazione (articolo 595) si concretizza quando si offende l'altrui reputazione e quando a sentire la frase ingiuriante ci sono più di due persone: coi social è pacifico che sia così.
Però, sembra di capire, dipende da cosa si dice, da come lo si dice e in che modo lo si dice. Come succede a computer spenti. Insomma, il confine tra insulto e maleducazione non scatta automaticamente quando uno si collega alla banda larga.
Il contraltare, invece, è che l'altra faccia della medaglia finisca per portare un messaggio da liberi-tutti: sarà villanìa, sarà scostumatezza o sarà pure che qualcuno ci prova giusto per vedere (più o meno di nascosto) l'effetto che fa, ma non dobbiamo cedere e pensare che su Twitter o Instagram o quel che è, sia concesso dire la qualunque. Non funziona così.