DIETRO OGNI INTRANSIGENTE C'È UN CULO CHIACCHIERATO - SI È DIMESSO IL VESCOVO JEFFREY BURRILL, CHE VOLEVA NEGARE LA COMUNIONE AL PRESIDENTE "ABORTISTA" BIDEN, DOPO ESSERE STATO RINTRACCIATO SULL'APP DI INCONTRI GAY DA UN SITO DI INCHIESTE, GRAZIE AI BIG DATA - FREQUENTAVA BAR OMOSEX, SAUNE GAY E CASE PRIVATE, ANCHE DURANTE VIAGGI DI LAVORO PER CONTO DELLA CURIA - MA È ETICO SPUTTANARE COSÌ FACILMENTE UN PRIVATO CITTADINO AVENDO ACCESSO ALLA SUA GEOLOCALIZZAZIONE?

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Irene Soave per www.corriere.it

 

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Un vescovo americano, Jeffrey Burrill, finora segretario generale della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti e parte attiva della cordata di vescovi conservatori che voleva negare la comunione al presidente «abortista» Joe Biden, si è dimesso martedì: The Pillar, un sito di informazione e inchieste che segue la Chiesa Cattolica, ha rivelato che dal suo telefonino acquisivano dati popolari app di dating gay come Grindr, che per almeno tre anni, dal 2018 al 2020, il prelato ha usato quasi tutti i giorni.

 

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Inoltre la geolocalizzazione del suo telefono, acquisita dalle stesse app, lo rintracciava regolarmente in bar gay, saune per soli uomini e case private dove aveva appuntamenti, anche durante viaggi di lavoro per conto della Curia.

 

Martedì l’annuncio dell’arcivescovo Jose Gomez. «Vi informo con rammarico che monsignor Jeffrey Burrill si è dimesso da segretario della Conferenza», ha scritto ai vescovi.

 

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«Lunedì siamo entrati al corrente che presto sui media sarebbe uscita notizia di possibili comportamenti impropri». Le condotte di Burrill, ha precisato subito l’arcivescovo, «non riguardavano minori». Ma la Conferenza ne ha accettato l’addio “per evitare distrazioni”.

 

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Lo scandalo può suscitare doppia antipatia se si pensa che proprio sotto la guida di Burrill, settimane fa, la Conferenza Episcopale americana aveva approvato una misura voluta da una cordata di vescovi conservatori, che getta le basi per poter negare la comunione al presidente Biden, a causa del suo sostegno alla libertà di abortire.

 

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Eppure suscita anche questioni etiche. Come è possibile che una testata d’inchiesta, The Pillar, sia entrata in possesso di dati così sensibili come l’iscrizione a un sito di dating e la geolocalizzazione per tre anni di un privato cittadino?

 

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L’inchiesta del sito The Pillar su Jeffrey Burrell mostra che è stato possibile, per un giornalista, accedere ai «big data» raccolti da Grindr; identificare quelli che riguardavano una sola persona, cioè il prelato, senza il suo consenso; e poi divulgarli.

 

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Questo può avvenire, negli Stati Uniti, perché la raccolta di dati è un mercato ancora in gran parte privo di regole: così ad esempio l’agenzia del fisco, l’Irs, usa da tempo i dati sui consumi e sullo stile di vita per stanare gli evasori; e alcune agenzie militari private geolocalizzano le persone di cui sono alla ricerca grazie a app di preghiera o persino di bricolage.

 

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«L’app Grindr, come molte app di dating, usa la geolocalizzazione perché consente di trovare partner vicini», spiegano i reporter del sito The Pillar, che è sotto accusa, sui social, per l’eticità di una simile indagine.

 

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«L’app, dal lato degli sviluppatori, non identifica i nomi degli utenti. Semplicemente dà a ciascuno un codice numerico unico che li identifica». Le app vendono questi dati in modo aggregato a inserzionisti e agenzie interessate: ma i dati «possono essere analizzati», e il singolo codice utente scorporato.

 

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The Pillar ha ottenuto il pacchetto di dati degli utenti di Grindr da un’agenzia che li commercia. E ha potuto isolare il caso di Burrill incrociando le multiple geolocalizzazioni dello stesso numero nella sede della Curia, e poi nella casa di campagna della sua famiglia: in questo modo, dare un volto al «numero anonimo» è stato facilissimo.

 

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