Maria Sorbi per il Giornale
Negli ultimi quattro anni il numero dei bambini dislessici è aumentato vertiginosamente (+88%), così come quello degli alunni disgrafici (+164%). Quelli che fino a poco tempo prima erano considerati i discoli della classe, disattenti, ingestibili e disordinati, improvvisamente sono stati catalogati con Dsa, disturbi specifici dell' apprendimento che in Italia colpiscono il 3,2% della popolazione scolastica.
Complessivamente parliamo di 276mila alunni.
Nel 2015 le diagnosi sono passate addirittura da 94mila a 177mila per la dislessia e da 30mila a 79mila per la disgrafia. Come mai i dati hanno registrato un' impennata del genere?
Siamo di fronte a un boom di disturbi? Nulla di tutto ciò. Semplicemente abbiamo imparato a dare un nome alle cose. A insegnarlo, nel bene e nel male, è stata la legge 170 del 2010, il provvedimento che prevede misure per i bambini con disturbi di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Tuttavia non si può dire che i problemi siano stati risolti dal giorno in cui è stata varata la legge, anzi. Sono venuti al pettine nodi che fino a quel momento erano rimasti sommersi e gestirli ne ha causati altri.
Insomma, quello sulla dislessia è una questione complessa che coinvolge un po' tutti: ci sono professori che segnalano i casi alle Asl e altri che non lo fanno, genitori in confusione che non sanno bene a chi rivolgersi. E ragazzi, che rischiano di pagare il prezzo più alto. Anche la comunità degli psicologi è divisa: ci sono quelli «vecchio stampo» secondo cui l' eccesso di diagnosi è un effetto collaterale della mancanza di pazienza da parte degli insegnanti e quelli che invece si affidano alle diagnosi per avviare nuovi percorsi per potenziare l' apprendimento.
L' INTOPPO DIAGNOSI Il cuore del problema sta nel sistema delle certificazioni del disturbo. Di fatto gli insegnanti delle scuole hanno segnalato i casi di ragazzi con problemi di apprendimento tutti in una volta e le Asl si sono trovate a gestire una valanga di richieste senza avere le strutture adeguate.
Risultato: per avere un certificato un alunno aspetta tra i sei mesi e un anno.
Eppure avere un documento che certifichi il disturbo è fondamentale per gli studenti: innanzitutto perché dà accesso, durante il percorso scolastico, a strumenti compensativi (utilizzo di supporti tecnologici) e misure dispensative (più tempo per svolgere i compiti in classe, utilizzo di supporti tecnologici) e poi perché - in alcuni casi, non sempre - agevola l' accesso all' indennità di frequenza, una somma prevista dalla legge 289 del 1990 con cui lo Stato eroga 293,75 euro ai minori con «difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età». Oltre agli alunni con disabilità, talvolta questo contributo viene concesso anche a studenti Dsa e Adhd (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) o con disturbi del comportamento alimentare. La cifra può servire a sostenere le spese per le sedute con gli psicologi o i percorsi di recupero.
I TEST A formulare la diagnosi di dislessia o discalculia deve essere uno staff di specialisti o una struttura accreditata che si appoggi a un' équipe multidisciplinare composta da un neuropsichiatra Infantile, uno psicologo, un logopedista. Figure non sanitarie (quali pedagogisti, tutor degli apprendimenti, counselor) non possono fare diagnosi cliniche.
I medici sono chiamati a valutare alcuni parametri: intelligenza, capacità di scrittura, capacità di lettura, comprensione del testo, capacità di calcolo. La diagnosi di dislessia, disortografia e disgrafia può essere fatta alla fine della seconda elementare, mentre quella di discalculia alla fine della terza elementare. Prima di queste tappe scolastiche la varietà dei risultati dei test rende troppo difficile il discernimento di un disturbo specifico dell' apprendimento.
Come si è creato l' intoppo delle liste d' attesa? «Nel momento in cui è emerso un problema che prima non aveva nome - spiega Andrea Novelli, psicologo membro del consiglio direttivo dell' associazione italiana dislessia Aid - allora si sono formate le liste d' attesa. Seppur con tempi che variano di regione in regione, l' 80% delle diagnosi viene effettuato dal servizio pubblico. Il restante 20% da strutture private o accreditate». Strutture che organizzano anche percorsi di riabilitazione e affiancamento allo studio (a pagamento) e che sono diverse da regione a regione.
In Lazio nemmeno esistono e le certificazioni sono in mano esclusivamente al pubblico, con tempi d' attesa tra i più lunghi. Il sistema sanitario si è trovato impreparato ad accogliere l' ondata di casi da analizzare e tutti quei servizi considerati una Cenerentola fino a poco tempo prima si sono trovati improvvisamente in prima linea.
Per di più, spiega il neuropsichiatra infantile Sergio Messina a capo dell' Aid, «molti casi di ragazzi che prima risultavano 'sotto' la legge 104, sono confluito nella 170. Anche per questo i numeri sono aumentati così. Prima alcuni bambini venivano 'catalogati' come 104 pur non essendo disabili. Vorrei specificare che gli alunni dislessici e i Dsa in generale non hanno bisogno di un insegnante di sostegno, non hanno un deficit dovuto a una malattia.
Sono bambini intelligenti che hanno solo un disturbo, un metodo differente di apprendere le cose». In base alle segnalazioni del ministero dell' Istruzione sembra che il 20% della popolazione scolastica sia interessata da disturbi dell' apprendimento. «Ma non è così - spiega Messina - Le certificazioni servono proprio a questo: a identificare chi è realmente un Dsa e chi no. Altrimenti sarebbe come dire che tutti i bambini pallidi sono anemici e non è così».
LA POLEMICA L' argomento dislessia continua a dividere psicologi e insegnanti. Da una parte ci sono quelli che pensano sia fondamentale diagnosticare il disturbo il prima possibile, dall' altra c' è la fazione di quelli che vedono dietro le segnalazioni di casi di Dsa un tentativo degli insegnanti di lavarsi le mani di alcune responsabilità.
«Le elementari - sostiene Francesco dell' Oro, autore del libro Indietro tutta, navigando verso la scuola di domani - stanno diventando pentole a pressione. Il rischio è che, alle prime difficoltà, si venga inseriti in un' area di attenzione. Il dislessico legge una parola e pensa a quella dopo. Io credo che in molti casi lo possa aiutare la lentezza.
Va ripensato il metodo della scuola elementare: meno test, meno voti e metodi alla X Factor. Ogni bambino ha la sua tempistica di apprendimento e maturazione. Diamogli il tempo per assimilare e crescere».