Estratto dell'articolo di Tommaso Ciriaco per repubblica.it
GIORGIA MELONI DANIELA SANTANCHE - MEME BY GRANDE FLAGELLO
Ormai sono tutti falchi. Non si mette di traverso neanche più Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza, ex magistrato, punto di riferimento del Quirinale, regista di ogni decisione di Giorgia Meloni, considerato dall’opposizione elemento di moderazione. Neanche lui, tre giorni fa, ha voluto o potuto bloccare il violento comunicato con cui “fonti” di Palazzo Chigi hanno aperto le ostilità coi giudici. Segnale lampante di un clima diverso, lo stesso che ha indotto ieri Meloni a esporsi su Repubblica senza cautele: “Avevo messo in conto che un certo potere costituito si sarebbe dimenato per impedire riforme necessarie”. È il metodo con cui Meloni agisce da sempre: di fronte a uno scontro, rilancia.
Non necessariamente escludendo una mediazione, ma per far capire di non essere disposta a cedere. In questo caso, lanciando un segnale che può tradursi così: state colpendo i miei, tocca a me difenderli (in realtà, le inchieste vanno avanti da mesi e non c’è nulla di imprevisto). Di certo, le ultime prese di posizione sono la promessa di una riforma della giustizia che la destra minaccia di portare avanti nei prossimi mesi, muovendosi nel solco di Silvio Berlusconi, anche per conquistarne l’elettorato. E negando, tra l’altro, le rassicurazioni che gli ambasciatori di Palazzo Chigi avevano consegnato ufficiosamente ai giudici: non faremo di fretta, e alla fine probabilmente non faremo.
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E invece, si rafforza la linea del Guardasigilli Carlo Nordio, assertore della separazione delle carriere e di una stretta definiva sulle intercettazioni. Meloni lo aveva più volte richiamato all’ordine. Fino alla nuova svolta, evidente anche dalle dichiarazioni di Mantovano di giovedì scorso: “Bisogna rendersi conto che il problema delle interferenze di alcune iniziative giudiziarie sull’attività politica riguarda tutti, centrodestra e centrosinistra.
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Un primo disegno di legge per regolare intercettazioni e abuso d’ufficio, in realtà, è stato già licenziato dal governo a metà giugno. L’altro ieri, nelle ore più aspre dello scontro, ha ricevuto la bollinatura della Ragioneria dello Stato, dopo essere rimasto fermo per tre settimane. Manca la firma di Sergio Mattarella. Il Presidente non conosce il testo, è impegnato in una missione in Sudamerica e si occuperà del dossier in seguito: la valutazione — si apprende — avverrà al suo rientro in Italia.
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Tutti falchi, nessuna colomba. Ma soprattutto: un “cerchio magico” — o meglio, “storico” — in frantumi. Per capire la svolta di Meloni bisogna concentrarsi sugli ultimi nove mesi, che coincidono con l’ascesa al potere della destra. Anzi, di FdI. Un partito governato da una sola leader, assieme a un nucleo ristretto di dirigenti. Composto da amici che si frequentano da lustri, lungo l’asse Roma-Milano, e che nell’era di Palazzo Chigi è stato scosso da gaffe, inchieste, duelli. Il primo colpo è stato il “caso Donzelli”.
In realtà, sotto inchiesta non è finito Giovanni Donzelli, luogotenente del partito per conto di Meloni, ma Andrea Delmastro, viceministro alla Giustizia. Entrambi sono cresciuti al fianco della premier. Pochi giorni fa il gip ha chiesto per Delmastro l’imputazione coatta per rivelazione di segreto d’ufficio nel caso Cospito, dopo il pasticcio alla Camera sotto gli occhi di centinaia di deputati. Una circostanza che ha segnato Meloni, che aveva affidato a Delmastro il compito di “marcare” Nordio, limitandone il garantismo. Fino alla decisione del giudice, che l’ha fatta infuriare.
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Ma l’inciampo forse più doloroso è stato il caso Santanchè. Poco prima di nominarla ministra, Meloni aveva chiesto informazioni sulla sua società, visto che si era saputo che i revisori avevano bocciato il bilancio di Visibilia. E aveva ricevuto rassicurazioni. L’indagine, però, ha fatto il suo corso, lasciando un gigantesco problema in mano alla premier.
Aggravato dal fatto che da molti anni la senatrice è legata da un sodalizio politico e umano con Ignazio La Russa, con il quale gestisce FdI in Lombardia, ormai principale bacino di voti della destra assieme al Lazio. Senza contare l’ultimo dettaglio: la pioggia di critiche che ha travolto il presidente del Senato per le frasi pronunciate in difesa del figlio, denunciato per violenza sessuale. Meloni ha preteso una correzione, ma certo non si è esposta pubblicamente contro La Russa.
francesco lollobrigida arianna meloni
E poi c’è il Lazio, dove tutto è iniziato prima della vittoria ed è culminato nell’estromissione dalla guida del partito regionale di un deputato vicino a Fabio Rampelli, mentore di Meloni. È uno scontro che divide la premier dal mondo in cui è cresciuta. Nel frattempo, un altro laziale come Francesco Lollobrigida, potente ministro e marito di Arianna Meloni, è finito al centro di durissime polemiche per alcune dichiarazioni sull’etnia italiana. Alla fine ha accettato un profilo più basso. E a gestire il tesseramento di FdI è stata promossa Arianna Meloni.
arianna meloni francesco lollobrigida LA REAZIONE DI MELONI E LA RUSSA AL PASSAGGIO DEGLI INCURSORI DEL GOI ALLA PARATA DEL 2 GIUGNO 2023