Giuliano Guzzo per "la Verità"
Dopo lo show di Fedez al concertone, la sinistra ha preso ad adorare il ddl Zan come mai prima, quasi come testo sacro, un vangelo progressista da approvare a tutti i costi. D' accordo, ma agli italiani la norma interessa davvero?
Anche se non c' è conduttore televisivo né influencer che osi porsi il dubbio, è uscito un sondaggio che svela quello che in fondo tutti sanno: alla stragrande maggioranza degli italiani di identità di genere, transgenderismo e dintorni interessa ben poco.
Si tratta d' una rilevazione di cui ha dato notizia ieri sulla Stampa la scrittrice Marina Terragni e promossa con una raccolta fondi da varie sigle femministe: Se non ora quando, Radfem Italia, Libreria delle donne, Udi. I dati rilevanti emersi attraverso tale indagine sono almeno tre.
Il primo riguarda l'atteggiamento rispetto alla partecipazione di atlete trans agli sport femminili, tema assai caro alla Casa Bianca, dove Joe Biden ha emesso un apposito executive order permissivo in tal senso. Ebbene, si è visto come il 56% degli interpellati dissenta da questa linea, il 14% non sappia e solamente il 30% ne sia favorevole.
E questo è il dato più arcobaleno di tutti. Sì, perché la scelta del sesso a prescindere da quello di nascita, con una semplice e rapida autodichiarazione, convince invece appena il 20% dei cittadini, con quasi il 70% (68, per la precisione) che si dichiara convintamente contrario. Musica non diversa, anzi, per i farmaci che bloccano lo sviluppo di bambine che si sentono «dell' altro sesso»: solo il 13% degli italiani è favorevole al loro impiego.
Insomma, sette italiani su dieci, se non di più, rifiutano quell' ideologia gender che, inutile girarci attorno, è il cuore pulsante del ddl Zan. Sì, perché ritorna in almeno due passaggi centrali del testo.
Anzitutto nel primo articolo della norma - precisamente alla lettera d) del primo comma - là dove si definisce l' identità di genere come «identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall' aver concluso un percorso di transizione».
Ma anche l' articolo 7 del testo, quello sulle iniziative di sensibilizzazione contro l' omobitransfobia «per le scuole di ogni ordine e grado», è evidentemente permeato da una visione antropologica tale per cui il genere altro non è che «identificazione percepita e manifestata di sé».
Ecco che allora il sondaggio svelato dalla Terragni diventa assai scomodo. Così scomodo che pure il quotidiano che l' ha riportato - la citata Stampa - ha provato maldestramente ad insabbiarne i contenuti con un titolo furbetto: «Scegliere il proprio genere? L' Italia si spacca in due ma prevale il fronte del no».
«Il titolo della Stampa "minimizza"», protesta la stessa Terragni sui social. In effetti, cosa ci sia di spaccato «in due» in uno scenario che vede almeno sette su dieci degli interpellati contrari ad una certa idea, lo sa solo il titolista della testata diretta da Massimo Giannini, assai portato per il genere fantasy.
Ma per tutti gli altri, abituati a leggere i numeri - e pure a comprenderli -, la sostanza del sondaggio promosso dal fronte femminista è chiarissima: sulla norma di Alessandro Zan, quello che una volta si sarebbe definito Paese reale ha le idee ben diverse da quelle chi vive negli attici milanesi di City life. Dopodiché, ovvio, la sinistra fa bene a tenersi stretti i suoi influencer.
Basta che poi, alla prossima batosta elettorale, non si mettano nel mirino i sovranisti, che sfondano per il semplice fatto che, a quelli «civili», continuano ad anteporre altri diritti. Tipo arrivare a fine mese.
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