Antonello Piroso per “la Verità” – 7 ottobre 2018
GIANNI RIOTTA TAPIRO VALERIO STAFFELLI
Ospite ad Agorà su Rai 3, quando l’economista Antonio Maria Rinaldi ha ricordato che per l’articolo 1 della Costituzione «la sovranità appartiene al popolo», Gianni Riotta ha alzato il ditino: «Scusi, dove sta scritto?». Per poi aggiungere, con l’aria di chi la sa lunga: «Perché l’articolo 1 recita che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Se uno studente va all’esame di diritto costituzionale ripetendo quello che si sta dicendo qui, lo bocciano».
E Rinaldi, più divertito che infastidito: «Nel secondo comma». Una bella gaffe, per il giornalista - italiano naturalizzato americano - che piace alla gente di Confindustria e dintorni. Un errore che, invece di nuocergli, pare lo spedisca alla direzione della scuola di giornalismo della Luiss, l’ateneo privato della medesima Confindustria. Questo, secondo il sito Dagospia, per volere di Emma Marcegaglia, già presidente di entrambe le istituzioni - Confindustria e della Luiss, e anche dell’Eni su nomina del governo di Matteo Renzi -che per Riotta ha simpatia e stima, come per Oscar Giannino di cui è stata testimone di nozze.
gianni riotta urla shut up a barbacetto edizione 2017
Affinità elettive che fanno curriculum, per dir così (scusami, Oscar, ma non riesco ad addomesticare il Franti che è in me). Intendiamoci: Riotta - Johnny Ricotta per chi ama maramaldeggiare - ha un palmares da far invidia alla più parte degli scribacchini nostrani, a cominciare dal sottoscritto.
Nato a Palermo nel 1954, figlio d’arte - il padre Salvatore era una firma del Giornale di Sicilia - diventa corrispondente del Mani festo. Ricorderà Nina Gagliardi, che il quotidiano comunista diresse: «Appare questo bel figurino, tutto impettito. Capii subito che il ragazzo puntava in alto, che avrebbe fatto strada». E difatti: Johnny diventerà condirettore di Marcello Sorgi alla Stampa, vicedirettore di Paolo Mieli al Corriere della Sera, direttore del Tg1 e del Sole 24 Ore.
Un numero di poltrone proporzionale agli svarioni e alle topiche in cui è inciampato. Alla vigilia della vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane, vaticinava su Facebook: «La campagna elettorale di Trump è ufficialmente finita stanotte, al terzo dibattito con la rivale democratica Hillary Clinton. Trump era partito alla grande, senza sniffare (ehhhh?, ndr). D’improvviso, ha distrutto le residue, esili chance di vittoria repubblicana. Vincerà Hillary, The Donald è stata una grande distrazione, colorata, petulante e vana».
In passato, siccome non gli fa difetto l’autostima, Riotta decise di cantarsela e suonarsela: «Spesso ho infastidito persone verso cui i giornalisti scodinzolano alla grande». Tipo chi? Gianni Agnelli? Giulio Tremonti? O in tempi più recenti Matteo Renzi? Macché: Adriano Sofri, già condannato come mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi , «penso sia colpevole e ho aiutato Mario Calabresi quando ha scritto il libro sull’assassinio di suo padre».
Peccato che l’amarcord di Sofri sul Foglio suonasse un tantinello diverso: «Questo piccolo tomo ha “scodinzolato”, per usare il suo miserando linguaggio, nei miei confronti a lungo e in più occasioni, fino a che, avendo scritto una gratuita vigliaccheria da quattro soldi contro Giorgio Pietrostefani (anche lui condannato per l’omicidio Calabresi, ndr), che non poteva rispondergli, fu da me qui trattato come meritava. Da allora, incassato il mio pubblico disprezzo, ha trovato l’audacia necessaria a vantarsi mio nemico».
Monica Maggioni con Gianni Riotta
A fine 2009, da direttore del Sole 24 Ore, il 31 dicembre fa scrivere in prima pagina che «le firme della testata hanno discusso per scegliere la persona dell’anno 2009 per l’eco nomia italiana»: Giulio Tremonti, l’allora potente ministro dell’Economia di cui si narrava potesse sostituire Silvio Berlusconi alla guida del centrodestra. Solo che la vicenda, per i rappresentanti sindacali dei giornalisti, aveva avuto uno svolgimento diverso: «Quella frase può indurre il lettore a pensare che il corpo redazionale sia stato consultato in questa scelta. Così non è stato. La decisione è stata presa dalla direzione che ne ha discusso solo durante la riunione di redazione, cui partecipa un gruppo ristretto di giornalisti».
Prima della direzione del Sole (che lascerà con 100 copie perdute al giorno in edicola, 54.000 in 16 mesi, e un -30 per cento di abbonamenti), Riotta si era guadagnato quella del Tg1, ricordata per il «bollettino della vittoria» dopo il terremoto dell’Aquila.
«Con metodico compiacimento onanistico», così verrà scritto, farà sciorinare per 90 secondi i lusinghieri dati di ascolto delle edizioni straordinarie post sisma. «Con centinaia di morti e una regione in macerie, questo non è giornalismo, ma pornografia necrofila, è stupro di cadavere», sarà uno dei rilievi più soavi del Web. Sempre attento ai fenomeni globali, ecco Johnny occuparsi di aviaria, malattia dei volatili e dei polli (lato sensu), circostanza già qui segnalata tra le cosiddette «bufale apocalittiche».
Riotta presentava così l’Armageddon ai lettori del Corriere della Sera nell’agosto 2005 : «Il virus H5N1 va alla guerra». Nientemeno. Cioè? «Il Presidente George W. Bush è stato informato del rischio epidemia della nuova influenza che terrorizza la sanità di tutto il mondo». Ciumbia. Riotta poi la tocca piano: «La paura è che il virus, mutando senza soste, possa infettare direttamente gli uomini. Gli epidemiologi hanno stime macabre. Le più pessimistiche, spesso lasciate in sordina per non generare panico, calcolano un miliardo di casi nel mondo e 360 milioni morti».
Giusto: perché lasciarle in sordina, ’ste cifre? Ma mettiamoci pure il carico da 11: «H5N1 potrebbe riuscire, invisibile, nel disegno di morte e devastazione che Osama Bin L ad e n va perseguendo». E certo: come non capire che Osama voleva annientare l’Occidente a colpi di uccelli morti? Da questi scivoloni Riotta si è sempre rialzato senza fare neanche un plissé. Anche quando Micromega usò la scimitarra avvolta nel velluto: «Oggi i prototipi del giornalista di successo sono Riotta e Barbara Palombelli, simpatici e preparati, ma che se avessero potuto intervistarlo, avrebbero trovato tracce di cordialità anche in Adolf Hitler», da lui nulla, zero reazioni. Solo una volta gli saltò la mosca al naso.
Avendo sostenuto da direttore del Tg 1 che la sua nomina - avvenuta con il secondo governo di Romano Prod nel 2006 - non era dettata da logiche lottizzatorie, che non riceveva pressioni e che i politici non lo chiamavano, Giampaolo Pansa ribatté: «Questo vallo a raccontare a tua nonna». E Riotta: «Se uno per strada ti risponde: “Dillo a tua nonna”, tu replichi “scusa...?” e scendi con il cric. Se te lo dice in tv, devi incassare».
«È stato un appassionato comunista, ma si è anche guadagnato l’amicizia del monarca del capitalismo italiano, Gianni Agnelli» ha scritto Repubblica . Un po' come Gad Lerner, che proprio con La Verità ha però fatto (una molto tardiva) ammenda sulle relazioni pericolose tra chi in Italia sognava il sol dell’avvenire e chi faceva il capitalista con i soldi degli altri, da Carlo De Benedetti ai Benetton. Non a caso, nel 1993 Riotta sostituirà Lerner alla guida di Milano, Italia su Rai 3.
Rete su cui tornerà con 4735 Parallelo Italia, sette puntate in prima serata nell’estate 2015, una fulminante intuizione del direttore Andrea Vianello per raccontare le magnifiche sorti e progressive del Belpaese a trazione renziana, con un budget di tutto rispetto: 2 milioni di euro. Dopo la prima puntata Riotta confessò: «Un debutto con un po’ di batticuore perfino per un vejo gringo co me me...».
PARALLELO ITALIA DI RIOTTA INTERROTTA DAI CONTESTATORI
I risultati tuttavia furono tutt'altro che esaltanti, come ricorderà Carlo Freccero a Michele Anzaldi - lo stalliere del cavallo di viale Manzini per conto di Matteo Renzi - quando eccepirà sulla scarsa resa di un’altra trasmissione: «Ma perché non intervenivi quando Riotta faceva ascolti più scarsi con un programma come Parallelo Italia che era senza concorrenza?».
In quel viaggio-reportage fu intervistata la creme delle élite, persone quali il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e Luciano Benetton. Domande su concessioni, rapporti tra ricavi, utili e investimenti sulla rete autostradale? Non pervenute. Forse non erano funzionali allo storytelling, che Riotta realizzerà in un clima da volemose bene immemore dell’avvertenza di Talleyrand: «Sourtout, pas trop de zèle», soprattutto: niente eccessi di zelo. A chi lo accusava di sudditanza verso Tremonti , con il sospetto che nel 2009 il premiato lo avesse deciso lui insieme a pochi altri nelle segrete stanze, si limitò a ribattere che «l’infelicità del servo è credere che tutto il mondo sia popolato solo da servi». Riotta servo? No, sarebbe insolente e offensivo. Ma un dandy cortigiano e cicisbeo, magari sì.
Gianni Riotta renzi intervistato da gianni riotta parallelo italia gianni riotta parallelo italia selfie riotta e bellasio che compie 40 anni