Ilaria Ravarino per "il Messaggero"
Nel 2009 fu Gianni Alemanno, ostinatamente all' attacco della serie tv Romanzo Criminale «colpevole di lanciare atteggiamenti e modi di fare sbagliati». Prima ancora era toccato a Silvio Berlusconi: il Cavaliere ce l' aveva con Gomorra (il romanzo) e La Piovra (serie tv), entrambi colpevoli di rendere la mafia italiana «più famosa che potente».
Ora è il turno di Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania, che ieri ha duramente ripreso - stavolta, però, senza fare nomi - i «camorrologi di professione». Gente che, nelle parole del politico, «rimarrebbe disoccupata se non ci fosse il problema».
IL DITO MEDIO DI ROBERTO SAVIANO AGLI HATERS
Quale problema? La camorra naturalmente, «che c' è, nessuno lo nega, ma ci sono persone che fanno i milioni, rovinando intere generazioni di giovani che per comportamenti emulativi si mettono a parlare e si comportano come quegli imbecilli delle serie tv».
Saviano. Il riferimento, indiretto, è prima di tutto a Roberto Saviano e a Gomorra, la serie tv tratta dal suo romanzo. «Che dire, il sole d' estate fa male - commenta Claudio Cupellini, storico regista delle prime stagioni della serie tv - Simili dichiarazioni dimostrano la totale incapacità, da parte di persone che dovrebbero avere una formazione culturale, di capire cosa è una narrazione, cosa un racconto e cosa la realtà. Le storie vivono di questi elementi dai tempi di Shakespeare e della tragedia greca».
Un concetto che Gianfranco Gallo, il camorrista Giuseppe Avitabile di Gomorra, spiega ancora più approfonditamente: «Al cinema e in tv l' emulazione è possibile, ma è un' emulazione estetica.
Non riguarda, cioè, il comportamento delle persone: chi nasce camorrista fa il camorrista, non ci diventa perchè guarda una serie tv. Se la gente si fa i capelli come Jenny Savastano va bene, il problema è se va a sparare dopo aver visto Gomorra. E non mi pare che succeda».
Brutti, sporchi e cattivi. Eppure, a differenza di serie come Romanzo Criminale o Suburra, Gomorra racconta solo il lato negativo dell' umanità. Non ci sono buoni, non c' è giustizia.
Non c' è lo stato: «Appunto: in Romanzo Criminale almeno c' erano i belli. Qui davvero sono tutti solo perdenti, brutti, sporchi e cattivi. La politica, attaccando Gomorra, sta spostando l' attenzione su altro. Il compito di De Luca è farci stare tranquilli, non criticare una fiction».
Per Michele Placido, regista del Romanzo Criminale cinematografico e poi della prima stagione di Suburra in tv, «quello di De Luca è un giudizio grossolano. La mafia, la camorra e la sacra corona unita sono sempre esistite al Sud. Falcone e Borsellino non li ha ammazzati La Piovra.
VINCENZO DE LUCA CON LA CHITARRA
Uno dei problemi della camorra sono i politici, che hanno fatto il bello e il cattivo tempo con la criminalità, non gli attori. Non credo che la mafia e la camorra si nutrano di tv: a incoraggiarle semmai è la connessione tra politica e malavita. È la politica a strumentalizzare le serie: il problema vero in Italia non è la piccola delinquenza, ma la grande. Il problema è non sapere ancora chi ha ucciso Falcone e Borsellino».
Spiega Barbara Petronio, sceneggiatrice di Romanzo Criminale la serie, Suburra e ACAB: «Se fossero le fiction a propagare il male, basterebbe abolirle. E con loro anche i romanzi e i gangster movie. La fascinazione del male è un tema caldo nella narrativa e semplificarlo cosi mi sembra riduttivo.
Ci sono film che hanno fatto la storia del cinema basati sui criminali, film che ci hanno segnati in termini artistici e di intrattenimento: nessuno ha mai detto che chi guarda C' era una volta in America poi vuole imitare De Niro. Un conto è scimmiottare la moda e il look di un personaggio, un altro ereditarne il comportamento.
Mi sembra come quando da piccola dicevano che i bambini si buttavano dai balconi dopo aver visto Goldrake e Mazinga Z. Interviene anche Filippo Nigro, attore di Suburra la serie e prima ancora di ACAB, per spiegare che non funziona così: «L' attore mette in scena dei personaggi, racconta una storia, non c' è mai compiacimento: ricordo che quando abbiamo fatto ACAB ci dissero che l' Italia non aveva bisogno di raccontare le storie di tre fascisti.
Ma non era così, e allo stesso modo Gomorra non ha l' intento di fomentare la gente. Il cattivo nella storia c' è sempre stato, dall' opera all' epica, e spesso viene descritto in modo realistico. Ma non c' è furbizia né malafede. E poi Gomorra è un gioiello, un fiore all' occhiello, un' opera amata in tutto il mondo».
New York. Sulla questione dell' arricchirsi con la camorra interviene poi Antonio Manetti, che insieme al fratello, nel film Ammore e Malavita, ha scherzato sulla Gomorra-mania a Napoli. «Molto onestamente, chiunque faccia intrattenimento desidera fare soldi. Che si parli di amore o di criminalità, non è una colpa voler rientrare di un investimento.
Se metti denaro in un progetto, lo vuoi rivedere. Ambientando una scena del nostro film alle Vele di Scampia abbiamo voluto ridere del fatto che Napoli ormai si racconti in un solo modo, molto negativo, e non certo criticare la serie. I polizieschi e i thriller si fanno anche a New York, ma là nessuno si sogna di dire che di sfrutta la criminalità.
È dagli anni Settanta, dai tempi del rock come musica del diavolo, che si fa questo discorso. Non sarebbe l' ora di andare avanti?».