M.Ev. per “il Messaggero”
GIUSEPPE CONTE CON LA MASCHERINA
Le chiusure delle aree attaccate con violenza dal coronavirus sono arrivate con dieci giorni di ritardo. Il Comitato tecnico scientifico aveva invocato limitazioni più stringenti, per le regioni settentrionali, già il 28 febbraio. Ritorniamo a quel giorno, è un venerdì. Da più di una settimana l'Italia ha capito che il nemico non è più così lontano.
Il Nord è stato travolto dall'onda del Covid a partire dal 20 febbraio, quando nel pronto soccorso di Codogno, in provincia di Lodi, viene trovato, quasi per caso, il paziente uno, in gravi condizioni a causa di una forte e misteriosa polmonite. Contemporaneamente ci sono i due contagiati di Vo' Euganeo, in Veneto, e a macchia d'olio il Sars-CoV-2 si estende a nord verso Bergamo, a ovest in Piemonte, a sud nella provincia di Piacenza. A fine febbraio si viaggia a circa 800 nuovi casi al giorno. La quiete quel venerdì è già finita, è già tempesta.
MATTIA – IL PAZIENTE UNO DI CODOGNO
IL DOCUMENTO
Il 28 febbraio il Comitato tecnico scientifico scrive, in uno dei documenti ufficiali desecretati grazie all'iniziativa della Fondazione Einaudi: «Le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto presentano una situazione epidemiologica complessa attesa la circolazione del virus, tale da richiedere la prosecuzione di tutte le misure di contenimento già adottate, opportunamente riviste come segue».
ospedale pesenti fenaroli alzano lombardo 1
Il documento elenca una serie di provvedimenti aggiuntivi da prendere subito: «Chiusura di tutte le attività commerciali» in mancanza di interventi organizzativi che consentano il mantenimento della distanza di un metro; «sospensione di tutte le manifestazioni organizzate, di carattere non ordinario e di eventi in luogo pubblico e privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolte in luoghi chiusi ma aperti al pubblico (grandi eventi, cinema, teatri, discoteche e cerimonie religiose)».
Ancora: stop a scuola e università. Di fatto, per le tre regioni del Nord maggiormente colpite nella fase iniziale dal contagio, il Cts chiede una serie di misure immediate, molto simili a quelle del lockdown; alla riunione del 28 febbraio partecipano il coordinatore Miozzo, il presidente dell'Iss Brusaferro, Maraglino, Locatelli, Dionisio, Coccoluto, Ricciardi, D'Amario, Ippolito.
Gli interventi per fermare il contagio, soprattutto nelle aree più in crisi del Lodigiano, del Bergamasco, del Piacentino e di parte del Veneto, arriveranno però un po' alla volta. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lascia trascorrere una decina di giorni e l'8 marzo firma il Dpcm che prevede delle limitazioni agli spostamenti in Lombardia, nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini, Pesaro-Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia. Passerà alla storia come la notte della grande fuga, dell'immagine dei tanti fuori sede che fuggono dalla Lombardia per raggiungere il Sud prima della pubblicazione del decreto.
quarantena e posti di blocco a vo' euganeo 8
Dall'8 marzo (il lockdown ci sarà solo l'11) proibiti eventi e competizioni sportive, chiusi cinema, teatri, discoteche e sale bingo. Stop a musei e università, a negozi se non viene garantito il metro di distanza; bar e ristoranti possono lavorare dalle 6 alle 18. Se alla richiesta del Cts fosse stata data una risposta tempestiva, alcuni focolai, portatori di morte e sofferenza, sarebbero stati evitati.
Alzano e Nembro, nel Bergamasco, in quei giorni stanno già diventando due dei comuni più colpiti d'Italia. Altro esempio: a fine febbraio il presidente delle Marche, Luca Ceriscioli, preoccupato per i primi casi a Pesaro, chiude le scuole, il governo reagisce irritato e minaccia di impugnare l'ordinanza. Il limbo di incertezza tra il 28 febbraio e l'8 marzo è un buco nero doloroso, pur tenendo conto del fatto che l'Italia fu il primo Paese occidentale ad affrontare il nemico sconosciuto, il Covid-19.