BRUNELLA GIOVARA per la Repubblica
Anche a voler essere ottimisti, che speranza hanno i quattro dipendenti della Cusenza Marmi di Valderice, provincia di Trapani? Di vedere insomma i soldi della cassa integrazione chiesti subito - era tanto tempo fa, era marzo - a ieri non ancora arrivati, denaro necessario a vivere, che però non si vede. Rosario Cusenza ha 41 anni, e si dice «ancora ottimista, perché per essere imprenditori o artigiani bisogna esserlo per natura, altrimenti non si va avanti. Ma è dura».
Allora, ci spieghi la vostra situazione. «Siamo nati nel 1970, il titolare è mio padre Gaspare, e siamo specializzati in lavorazioni artistiche del marmo, alto artigianato. Tanto per dire, abbiamo lavorato per lo stilista Domenico Dolce, e per clienti del Qatar. A fine marzo abbiamo chiuso bottega come tutti, nel rispetto del decreto. E abbiamo fatto subito la richiesta di cassa integrazione per i quattro dipendenti».
Ma non è successo niente, è così? «È così. Non abbiamo visto niente a marzo, né ad aprile e nemmeno a maggio. A oggi, zero. Perciò dico che noi artigiani siamo figli di un Dio minore. Invece, mio padre e io abbiamo sempre pensato che essere artigiani fosse una cosa speciale. Noi consideriamo il cliente una persona, non un numero, e per fare i nostri prodotti mettiamo molto amore e passione. Pensiamo che l'alto artigianato italiano sia un patrimonio che lo Stato dovrebbe addirittura tutelare e incentivare.
Siamo gli eredi della sapienza, dell'arte e della creatività italiana. Siamo capaci di ricreare lo stile barocco siciliano, produciamo fontane e altari». ma la cassa integrazione non vi arriva. «Infatti. Venerdì scorso sono andato a controllare sul sito dell'albo artigiani a cui siamo iscritti, perché la cassa integrazione a noi arriva non dall'Inps ma dall'Fsba, il fondo di solidarietà bilaterale per l'artigianato, e lì c'era un avviso: "Abbiamo provveduto all'erogazione della quasi totalità delle prestazioni relative alla competenza di marzo 2020". Tradotto: sono finiti i soldi. Oggi il messaggio è stato rimosso, quindi immagino che i soldi siano arrivati, sarebbe un bel passo avanti».
Nel frattempo, avete anche riaperto. «A metà maggio, soprattutto per la difficoltà a trovare i dispositivi di protezione. Ora va tutto piuttosto a rilento perché abbiamo pochi ordini, viviamo su quelli ricevuti prima della chiusura. E dire che noi facciamo solo prodotti personalizzati, anche nelle linee più commerciali, sempre il "fatto su misura" del cliente, come se fosse un vestito.
Comunque, adesso siamo ripartiti. E da marzo in avanti, abbiamo cercato in tutti modi di aiutare i dipendenti, con acconti e anticipi. Ma siamo soli ad affrontare una montagna». E cosa dicono i dipendenti, sono delusi? «Uno mi ha detto: "noi che abbiamo un lavoro, stiamo elemosinando. Allora tanto vale fare come i miei amici, che non lavorano e ottengono il reddito di cittadinanza. Noi lavoriamo e produciamo, però così ci riducono alla fame"».
Cosa gli ha risposto? «Non sapevo cosa rispondere». Ce l'ha con il governo? «Sono consapevole che il governo abbia affrontato qualcosa di estremamente complesso da gestire. La pandemia è stata una cosa enorme, non prevedibile. E sono convinto della buona fede di Conte, che probabilmente credeva davvero che i soldi sarebbero arrivati subito alla gente. Ma non ha fatto i conti con quel mostro italiano che si chiama burocrazia. Così, dopo 3 mesi che aspettiamo, ci sentiamo un po' soli». Cos' è, per lei, la burocrazia. «Un meccanismo lento, vorace, farraginoso, senza alcuna empatia. Spesso inutile».
Cosa bisognerebbe fare, invece? «Saltare tutti i passaggi. Capisco che non si possa fare in emergenza, e che sia difficile smantellare questo sistema. Ma i soldi promessi devono arrivare presto, solo così si riuscirà a fermare l'emorragia. I soldi devono tornare a girare, e così girerà l'economia, e non si perderanno altri posti di lavoro. Dopodiché, so che il nostro settore è messo meglio di molti altri, e qui penso al turistico e alla ristorazione. Lì la situazione è tremenda, la gente non arriva, come faranno a sopravvivere?». Pensa di farcela? «Spero di sì, ce la faremo. Ma da soli».
giuseppe conte al telefono conte